Una “chat dell’orrore”. Così i carabinieri di Siena definiscono quanto hanno scoperto su WhatsApp dove, in una chat intitolata ‘The shoah party’, alcuni ragazzini italiani si scambiavano video a luci rosse, immagini pedopornografiche, scritte inneggianti a Adolf Hitler, Benito Mussolini, all’Isis e postavano frasi choc contro migranti ed ebrei. A crearla e a gestirla da Rivoli, alle porte di Torino, sarebbero stati due 15enni. E in tutta Italia sarebbero circolate foto che, secondo gli investigatori, sono “di una violenza inaudita, con scene di brutalità inenarrabile”. In un video una neonata di nemmeno un anno viene seviziata da un adulto, mentre in un altro una bambina di circa dieci anni fa sesso con due ragazzini, forse poco più grandi di lei. Ma grazie a una madre, che nel gennaio scorso si è recata dai carabinieri di Siena per denunciare di aver rinvenuto nello smartphone del figlio 13enne video pedopornografici, è scattata un’inchiesta che ora vede indagati 25 ragazzi, dei quali solo nove sono maggiorenni di età tra 18 e 19 anni. All’alba di martedì sono scattate le perquisizioni, coordinate dai carabinieri di Siena, in Toscana, Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria nelle abitazione degli indagati, residenti in 13 province. La Procura per i minori di Firenze ha indagato tutti per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali. Il più ‘anziano’ del gruppo ha compiuto da poco 19 anni, il più giovane ne ha 15. A far parte della chat dell’orrore anche sei ragazzi, poco più che bambini, tutti di età inferiore ai 14 anni, quasi tutti 13enni, e, per questo ritenuti dalla legge non imputabili. Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati decine di telefonini e computer, che verranno affidati ad un consulente tecnico d’ufficio che ne farà delle copie forensi, riproduzioni attendibili dei contenuti delle chat, necessarie per la promozione delle accuse in occasione del processo.”Se non fosse stato per quella denuncia della madre a gennaio – spiegano i carabinieri – l’indagine non sarebbe partita né a Siena né altrove. Perchè un gruppo WhatsApp non conosce confini e quell’espressione degradante di malcostume ha interessato molte regioni d’Italia. Moltissimi ragazzini hanno potuto osservare le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell’islamismo radicale che vi erano contenute”. E’ in quell’abisso d’orrore che i carabinieri hanno dovuto lavorare, attraverso intercettazioni telematiche richieste e ottenute dalla procura dei minori di Firenze, sotto il coordinamento del procuratore Antonio Sangermano e dalla procura distrettuale di Firenze competente per materia, grazie ai decreti emessi dal pm Sandro Cutrignelli. Autorizzati dai pubblici ministeri, i militari si sono introdotti con l’inganno all’interno del gruppo social, riuscendo a convincere gli amministratori della loro affidabilità con un giochetto da hacker. Dopo oltre cinque mesi di indagini si è poi risaliti agli amministratori del gruppo, quelli che lo hanno creato e alimentato, tutti residenti nella zona di Rivoli. Le immagini e i video postati sono stati attribuiti singolarmente alla responsabilità di qualcuno di loro e alla fine ne è venuta fuori una documentata informativa di reato che è finita sul tavolo dei magistrati.Tanti ragazzini dai 13 ai 17 anni sono rimasti invischiati più o meno consapevolmente in questa triste vicenda di pedopornografia; altri, dopo essere entrati in quello spazio di orrore ospitato dal noto social network ne sono subito usciti. “Ma nessuno di loro risulta aver denunciato la cosa”, precisano i carabinieri.
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