“C’e’ un diffuso desiderio di Dc e mi ci metto anch’io”, ma “l’iniziativa manca”: “la Chiesa non mi pare si stia muovendo, anche se ci sono sacerdoti che vorrebbero che questo avvenisse. E non credo che Conte si prendera’ cura di costruire un partito politico”. Nicola Mancino, che e’ stato uno degli esponenti storici della Democrazia Cristiana, sembra scettico sulla possibilita’ che nasca un nuovo partito dei cattolici, anche dopo le parole pronunciate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ad Avellino ha invocato il loro contributo di idee e di cultura politica. “Lo spazio per una nuova Dc ci sarebbe, ma occorrerebbero iniziative di profilo alto”, ragiona Mancino, che proprio ieri ha festeggiato il suo ottantottesimo compleanno. E invece, osserva, “c’e’ molta esitazione da parte del mondo cattolico, manca una leadership. L’impegno politico dei cattolici italiani nasce dalla Rerum novarum, l’enciclica sul mondo del lavoro di Leone XIII. Papa Francesco ha aperto una frontiera nuova sulla salvaguardia della natura, sullo sviluppo sostenibile per l’umanita’. Ma il suo messaggio non e’ stato recepito. Al suo impegno pastorale sull’ambiente non corrisponde un impegno politico del mondo cattolico italiano, adeguato alla sfida proposta”. Quanto a Conte “ad Avellino ha fatto un bell’intervento. I suoi principi possono coincidere con i miei. Ma io vengo da una lunga storia democristiana. E comunque lui ha parlato dei cattolici democratici ma non ha detto che attualmente si puo’ fare una nuova Dc”. Sull’attuale alleanza che sostiene il Conte bis, Mancino sospende il giudizio. “La maggioranza e’ stata costituita, si misura con la realta’ giorno per giorno, aspettiamo di vederla alla prova”. E sul ruolo giocato da Matteo Renzi, che prima ha spinto il Pd all’alleanza e qualche giorno dopo ha fatto la scissione, dice: “non saro’ feroce, ma ritengo che abbia sbagliato i tempi. Se avesse agito prima, probabilmente non si sarebbe costituita questa maggioranza”. Uno dei primi atti dell’alleanza Pd-M5S e’ stato il taglio dei parlamentari. “Cosi’ com’e’ e’ una riforma monca”, osserva Mancino che e’ stato presidente del Senato e che negli anni Ottanta da vice presidente della Commissione Bozzi presento’ una proposta per ridurre a 200 i deputati e a 200 i senatori. “Ma quella riforma – sottolinea – doveva essere anticipata da una legge elettorale che garantisse la presenza di tutti i territori italiani alla Camera e al Senato, anche le piccole regioni, le province periferiche delle altre regioni e la rappresentanza delle minoranze politiche”. Pollice verso anche sullo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado. “Non sono d’accordo con questa riforma”: occorre un termine non solo per chi e’ indagato ma anche per il giudice che non puo’ pensare di avere un “tempo infinito”. Lui, che e’ stato vice presidente del Csm e ministro dell’Interno, condivide invece la sentenza della Corte di Strasburgo sull’ergastolo ostativo, perche’ “il carcere deve tendere alla rieducazione del reo”.
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