La scomparsa di mia madre è un film che racconta la verità. La verità di una vita vissuta nella consapevolezza di quanto possa far soffrire un’icona stereotipata, di quanto sia soffocante e a volte immensamente complicato ‘decostruire’ un’immagine di se stessi che seppur bellissima, di successo, resta virtuosamente finta. È quello che è successo a Benedetta Barzini, donna eclettica, modella famosa, musa ispiratrice e amica di artisti come Salvador Dalí e Andy Warhol. Una donna capace di spaziare dal mondo effimero della moda a quello accademico delle Università, riuscendo a mantenere costantemente inalterata una caratteristica imprescindibile: la sua personalità. Innovativa, profonda, concreta eppure inafferrabile, Benedetta Barzini è così: una donna piena di contraddizioni, prima fra tutte quella di aver preferito, ad un certo punto della sua vita, la libertà al successo. Quella libertà che diventa quasi ossessione. Un’ossessione, che la porta ad avere un desiderio fortissimo di scomparire. No, non di morire, proprio scomparire, quasi come se questo desiderio fosse l’unico modo per poter essere finalmente se stessi.
A raccontare ‘La scomparsa di mia madre’ il film rivelazione che racconta Benedetta Barzini è Beniamino, suo figlio.
Classe 1986, accogliente, gentile e di un’umiltà spiazzante, Beniamino Barrese è il regista de La scomparsa di mia madre, la sua opera prima. E con la naturalezza di chi è stato educato al concetto più profondo di verità, Barrese spazia nel raccontarsi dai ricordi della sua infanzia per passare poi ad un’analisi puntuale su quanto sia difficile fare cinema in questo momento, soprattutto se se si tratta di un documentario.
Sono giorni frenetici per lui, il film è appena uscito, ma tra le le procedure di rito all’aeroporto e il telefono che squilla racconta se stesso e sua madre.
Lei ha dichiarato ‘È tutta la vita che fotografo e filmo mia madre, senza sapere perché’: quanto è stato liberatorio, come figlio, girare questo film pensando a questo rapporto?
“Non è stato liberatorio per il nostro rapporto, perché negli anni si era già evoluto, in particolare dopo la mia esperienza in Inghilterra era maturato molto, più che altro è stato liberatorio poter mostrare al mondo ciò che lei è nel suo quotidiano, la persona che io conosco. Il suo essere, il suo impegno, la sua forza”.
Ricorda la prima volta che sua madre le ha espresso il desiderio di voler scomparire. Cosa ha pensato? Come l’ha vissuto?
“Si, ero bambino e mi ha dato un’angoscia incredibile… . Tra l’altro voleva andare a Napoli, perché lei, oggi come allora, adora l’idea di andare a vivere in una città sul mare. Che però per me bambino che vivevo a Milano, era un posto lontanissimo, quasi mentalmente irraggiungibile”.
Benedetta Barzini non ama essere catturata nelle immagini. E pure la donna che ama la libertà più di qualsiasi altra cosa, ha ceduto il posto alla madre, che per amore di suo figlio si è lasciata riprendere in questa sorta di viaggio dell’anima. Quando guarda oggi il suo, il vostro film, proiettato nelle sale cosa riesce a scoprire di diverso, di sconosciuto che non aveva ancora scoperto del vostro rapporto?
“Più che il rapporto con mia madre mi colpisce guardare il modo in cui lo interpretano gli altri. Mi colpisce come una storia così intima personale, che pensavo solo nostra possa invece fungere da specchio nel rapporto genitoriale degli altri. E ogni volta che lo vedo nelle sale e noto le espressioni dei presenti, io mi stupisco osservando il loro sentire”.
Quanto è difficile oggi fare cinema in italia?
“Questa è una bella domanda davvero, perché è un tema che mi è molto caro. Questo film è un piccolo miracolo. Fare cinema oggi in Italia è difficile, in particolar modo per i giovani, perché non c’è nessuno che ti aiuti o che ti incoraggi a persistere nei tuoi obiettivi. Io non mi sono mai arreso, ma è anche vero che rispetto ad altri la protagonista del film, che volevo realizzare era una donna forte e allo stesso tempo nota come mia madre. Io sono stato molto fortunato, perché ho trovato chi ha creduto in me. In ogni caso la difficoltà di fare cinema oggi, in particolare nella sezione documentari non è solo italiana, ma molto più generalizzata. Per questo sono particolarmente soddisfatto che ‘La scomparsa di mia madre’ stia ottenendo grandi riscontri all’estero come dimostra il fatto che questo film sia stato l’unico italiano nella sezione World Cinema Documentary, in concorso al Sundance Film Festival 2019 negli Stati Uniti”.
ll nostro colloquio finisce qui, pochi minuti che sono bastati a rendere perfettamente l’idea di ciò che è questo film, un lavoro introspettivo, intenso, che va assaporato dal vivo, perché nei giochi di chiaro scuro proiettati sul grande schermo questo incontro-scontro tra una madre fuori dal comune e suo figlio prende la sua forma migliore e come per magia emana luce.
Marcella Aliberti
Articolo pubblicato il giorno 24 Ottobre 2019 - 20:37