Castellammare di Stabia. A descrivere la figura di Alfonso Cesarano, finito nel penitenziario di Secondigliano per un’ordinanza di misura cautelare, sono i collaboratori di giustizia Raffaele Polito, Salvatore Belviso, Roberto Perrone, Giuliano Saturnino, e Cavaliere Renato. Gli altri indagati, Cesarano Saturno, il 62enne Cesarano Alfonso, Cesarano Giulio, Cesarano Catello e Cioffi Michele sono ai domiciliari. Sono tutti ritenuti responsabili a vario titolo di concorso nel trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per agevolare il raggiungimento delle finalità illecite dell’associazione di tipo mafioso denominata clan D’Alessandro, nonché avvalendosi della forza intimidatrice della predetta organizzazione.
Tutti parlano di Alfonso Cesarano come soggetto contiguo alla criminalità organizzata stabiese e disposizione di essa in cambio del mantenimento della gestione, in forma monopolistica, del servizio di onoranze funebri. Raffaele Polito ha riferito agli investigatori del rapporto di amicizia tra Cavaliere Alfonso, uno dei killer del Consigliere Comunale Gino Tommasino, e Alfonso Cesarano che metteva a disposizione dei D’Alessandro una sua struttura alberghiera dove il clan si incontrava e occultava armi e munizioni. Alfonso “non l’ho mai visto fisicamente – racconta Polito – in una sola occasione Cavaliere Renato mi mandò giù alle pompe funebri per chiedere al predetto Cesarano Alfonso la disponibilità dell’albergo. Cavaliere Renato era molto amico di Cesarano Alfonso”. “Ci appoggiavamo all’albergo per stare tranquilli in quanto in quel periodo spesso eravamo ricercati dalle forze dell’Ordine. In un’occasione vi ha trovato rifugio anche Lucchese Antonio, latitante ricercato dai carabinieri per un’estorsione ai danni di un ristorante. Devo precisarvi che, dopo l’arresto avvenuto all’intento di quella struttura alberghiera di Lucchese Antonio, il predetto albergo era oggetto di indagine da parte dei Carabinieri. Nei giorni che seguirono, su indicazione di Cavaliere Renato, mi recai nuovamente all’albergo per prelevare un’ arma, una pistola calibro 7.65 che era del clan, che avevamo lasciato incustodita in una delle stanze dell’albergo e che i carabinieri non avevano trovato perché si trovava all’interno di una stanza adiacente a quella dove era nascosto Antonio Lucchese. In quella occasione, il portiere dell’albergo, sempre Io stesso, unitamente ad urta donna che conoscevo per essere di Scanzano ma che non avevo mai visto all’interno dell’albergo, mi impedirono di salire e fu proprio la signora a dirmi che eravamo stati noi a far chiudere l’albergo. Avvisai di ciò Cavaliere Renato che l’indomani mi disse di andare nuovamente all’ albergo, bussare al citofono e la persona che mi avrebbe aperto, evidentemente mi aspettava, sapeva che dovevo andare sotto al garage, un posto preciso che mi spiegò il Cavaliere, dove avrei trovato la predetta pistola avvolta in un fazzoletto bianco che evidentemente qualcuno dalla stanza aveva spostato laggiù. In quella occasione vi era un’altra persona che mi apri perché il portiere che conosciamo noi di solito lavorava di notte. Devo dirle che nel periodo in cui ho frequentato il predetto albergo ho visto all’interno Maria D’Alessandro, figlia di Luigi e sorella di Pasquale D’Alessandro alias ‘o nir, che, tuttavia, non faceva mai nulla e infatti, benché assunta come donna di pulizia, tali mansioni venivano svolte esclusivamente da un’altra signora. Devo aggiungere che, dopo l’arresto di Cavaliere Renato e l’arresto di Antonio Lucchese, “perdemmo” la disponibilità dell’albergo: infatti Belviso Salvatore mi disse che avevamo perso tale disponibilità e che quindi, ora, potevamo chiedere una tangente all’albergo che cadeva in zona Scanzano. Di lì a poco siamo stati arrestati e quindi non so dirvi se questa tangente è stata mai chiesta”. Secondo la Procura le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sono lineari, cronologicamente corrette e coerenti con gli esiti investigativi. Salvatore Belviso nel raccontare il rapporto tra l’imprenditore e il clan dice che “Il rapporto era gestito soprattutto da Renato Cavaliere” e che “doveva – dice Belviso – presentarmi a Cesarano Alfonso quale suo referente. Cesarano Alfonso era a disposizione del clan D’Alessandro proprio in quanto esponente del clan amico dei Cesarano”.
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