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Arrestata insegnante di religione: circuiva persone deboli con riti esoterici e si impadroniva dei loro beni

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I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria hanno arrestato una donna (M.D., 59 anni), insegnante di religione, accusata di circonvenzione di sei persone incapaci, attraverso riti esoterici, per impadronirsi di tutti i loro beni. Il provvidemento di custodia cautelare in carcere è stato emesso dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria – su proposta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria coordinata dal Procuratore Capo, Giovanni Bombardieri e grazie ad indagini, anche di natura tecnica, coordinate dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni, e dirette dai sostituti procuratori, Roberto Di Palma e Angelo Gaglioti, e condotte dalle Fiamme Gialle di Reggio Calabria. La donna arrestata, originaria di Reggio Calabria ma residente a Messina, oltre ad avere nella propria disponibilità diversi immobili sia in Calabria, sia in Sicilia, era un’assidua frequentatrice di opere caritatevoli, mense dei poveri, chiese, soggiorni della Caritas e case di riposo, dove trovava le sue vittime. Sono sei le persone accertare che sono cadute nella rete della donna nativa di Reggio Calabria ma dimorante a Messina, oltre ad avere nella propria disponibilità diversi immobili siti, sia in Calabria, sia in Sicilia, era un’assidua frequentatrice di opere caritatevoli, mense dei poveri, chiese, soggiorni della Caritas e case di riposo. Nello specifico, la donna, facendosi scudo della sua professione e delle sue abitudini in termini di frequentazioni, era solita avvicinare e irretire persone psicologicamente deboli e incapaci di autodeterminarsi, spesso aventi alle spalle anche un vissuto difficile, al fine di sottrarre loro i propri beni.

Durante le preliminari fasi dell’indagine, i finanzieri reggini erano stati delegati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria a svolgere accertamenti a seguito della presentazione di una denuncia presso il medesimo ufficio giudiziario da parte di un quarantatreenne reggino che, tra l’altro, riferiva di essere stato raggirato da alcuni parenti, nel tentativo di sottrargli l’eredità lasciatagli dai defunti genitori. Da una prima analisi della denuncia, però, già sembravano emergere delle anomalie: infatti, il primo elemento che ha insospettito i militari operanti è stata la non corrispondenza tra la calligrafia della firma del denunciante, che sembrava essere molto elementare, come quelle tipiche dei bambini alle prime armi con la scrittura, e l’articolazione e la precisione con cui, nella medesima denuncia, venivano esposti i fatti “incriminanti” nei confronti dei parenti reggini del denunciante. A comprova dei preliminari sospetti, la successiva attività investigativa, condotta attraverso:
– numerosi sopralluoghi e/o appostamenti presso i luoghi potenzialmente interessati dalla vicenda (a Reggio Calabria e a Messina);
– escussione a sommarie informazioni di numerosi soggetti;
– perquisizioni personali e domiciliari (durante le quali, in una casa fatiscente a Messina, inondata di rifiuti di ogni tipo, in evidente stato di abbandono e in pessime condizioni igienico-sanitarie, erano “detenuti” sia un’anziana donna messinese in precarie condizioni di salute anche di natura psichiatrica, sia un soggetto reggino – originario “denunciante” –, entrambi incapaci di autodeterminarsi e, successivamente, affidati ai servizi sociali, previo intervento del servizio medico del 118);
– analisi della copiosa documentazione e dei dispositivi elettronici (pc e telefoni cellulari) sottoposti a sequestro;
– accertamenti bancari;
– perizie psichiatriche nei confronti delle persone offese;
ha consentito di giungere, tramite l’incrocio di vari elementi indiziari, a uno scenario completamente differente rispetto a quello inizialmente delineato dai fatti indicati in denuncia. È, infatti, emerso che, attraverso un modus operandi ormai ben consolidato (il medesimo che si stava perpetrando anche nei confronti del “denunciante” reggino), la donna si impadronisse del patrimonio mobiliare e immobiliare delle vittime (quantificato in svariate decine di migliaia di euro di valore complessivo), nonché del loro denaro e di ogni loro oggetto di valore, attraverso l’indotta sottoscrizione di Procure Speciali, testamenti e deleghe ad operare su conti correnti in suo favore. Inoltre, a seguito di penetranti accertamenti effettuati in sede di perquisizione domiciliare, tra l’altro, si rilevava come la donna, per il perseguimento dei suoi fini di circonvenzione, facesse persino ricorso a rituali e pratiche esoteriche, come emergeva da evidenze testuali e oggetti in cui si imbattevano i militari operanti nel corso della perquisizione. In particolare, venivano rinvenuti documenti contenenti istruzioni per praticare riti
magici per rimuovere le vibrazioni negativa dalla casa, una “corazza di protezione” con simbologia del settore, un “captatore tri-sensor”, nonché un talismano che
assicurerebbe protezione duratura. La “mano di Fatima” e la “corazza di protezione” risultano in età moderna utilizzate come oggetti apotropaici (ossia atti o oggetti atti ad allontanare gli influssi maligni), mentre il “captatore tri-sensor”, metterebbe a disposizione del suo possessore delle virtù magiche.
Le credenze e i rituali magico-esoterici evidentemente consentivano alla donna di incidere in modo suggestivo ed ancora più penetrante sulla già debole psiche delle vittime, aggravando ulteriormente il processo di creazione di un forte ascendente sulle stesse, ai limiti dell’instaurazione di una vera e propria forma di dipendenza. La gravità del quadro indiziario raccolto, nonché l’attualità della pericolosità delle condotte poste in essere dalla donna, spingevano i militari operanti a ritenere sussistente la necessità di proporre l’attivazione del canale delle misure cautelari.

Analizzato l’intero scenario delineatosi nel corso dell’attività investigativa, ricorrendo esigenze cautelari nei confronti della donna e concordando pienamente con il quadro di pericolosità prospettato dalla P.G., la Procura della Repubblica di Reggio Calabria richiedeva al G.I.P. presso il locale Tribunale l’applicazione della misura cautelare in carcere, successivamente emessa dal Giudice competente. La misura cautelare, prontamente eseguita dai finanzieri reggini, vedeva quindi la traduzione in carcere della donna presso l’ala femminile del carcere di Messina-Gazzi. Elevatissima verrà mantenuta l’attenzione dei finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, affinché incresciosi episodi della specie siano evitati o prontamente repressi. La Guardia di Finanza opera costantemente a salvaguardia e a tutela della vita umana,
specie delle fasce deboli, del patrimonio – sia pubblico che privato –, dell’ordinata e civile convivenza sociale e della sicurezza pubblica, intesa anche in termini di sicurezza economico-finanziaria della collettività e dei singoli individui.


Articolo pubblicato il giorno 24 Ottobre 2019 - 08:32
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