Accompagnato da una banda di musicisti di straordinario talento, condurrà il pubblico in un viaggio attraverso un medioevo fantastico fatto di bestie estinte, creature magiche, cavalieri erranti, fate e santi. Il tour teatrale di Vinicio Capossela, tra le tante città, arriverà a Napoli il prossimo 21 ottobre. Il teatro regio di San Carlo sarà la cornice perfetta per “Ballate per Uomini e Bestie”, l’inedito concerto-spettacolo dell’artista ispirato all’omonimo album pubblicato da La Cùpa/Warner Music nell’aprile 2019 e per il quale è stata conferita al “Povero Cristo” l’assegnazione della prestigiosa Targa Tenco 2019 per il “Disco in assoluto”.
“In tempo di peste, come nel Decamerone, ci si rifugia nel racconto, non prima di avere esposto la propria denunzia.” – scrive Capossela per meglio spiegare il significato di questo progetto – “Una pestilenza infuria in questo momento della storia: una pestilenza morale, etica, di linguaggio. Corre nella rete, nuovo pneuma che trasmette pulsioni antiche.
Nella pestilenza si diffondono più velocemente la tendenza verso il basso, la corruzione del linguaggio, la violenza, la pornografia in luogo del desiderio. Siamo entrati in una nuova fase della rivoluzione tecnologica nella quale si iniziano a misurare le conseguenze della Produzione. Negli ultimi cento anni il pianeta ha subìto un’accelerazione che cancella la storia precedente. Un cambiamento strutturale che si avvia all’irreversibilità. Il senso del sacro, di manifestazione del sacro nella natura, è scomparso. La religione si è fatta presupposto di conflitto.
Gli studiosi definiscono questa era Antropocene, a sottolineare quanto l’uomo abbia modificato la sostanza stessa del pianeta e dei suoi abitanti.
Nell’infuriare della peste, nel racconto, nel canto, diventa necessario ricomporre l’unità per cercare un nuovo rapporto con la natura delle cose. Con il sacro e con le bestie, creature viventi con cui dividiamo la vita sulla terra. La relazione con l’animale è passata dalla ierofania delle grotte di Lascaux al bestiario medievale, nel quale la natura assumeva la forma del libro e la realtà era vista come simbolo, fino ad arrivare oggi ad un rapporto con le bestie che, per quanto molto più
dibattuto e consapevole che in passato, spesso si consuma principalmente nel piatto. Oppure è culturalmente mediato da peluches, fiabe e cartoni animati.
La bestia però r-esiste, soprattutto nell’inconscio. Sogniamo animali più di quanto non li incontriamo. In un sonno che ci riporta all’inizio del mondo, a un grembo comune fatto di oscurità profonda e densissima. A quel buio primigenio è seguita una separazione, l’attraversamento di un limite non reversibile. Siamo confinati nella rigidità della forma umana alla quale ci relegano milioni di anni di evoluzione.
In questo medioevo altro e tecnologicamente evoluto, fatto di nuove crociate, rinnovate guerre di religione, oscurantismo, lavoro industriale sulla paura, diffusione virale di pestilenze, dietro di noi, a volte a fianco, o inconsciamente partecipi, stanno gli animali, le bestie come irrisolto punto di accesso al mistero della natura, anche umana.
Questo il tema. Nello svolgimento una questione di forma: la ballata, come occasione di pratica metrica e di svincolamento dalla sintesi. Nella ballata non è obbligatorio essere brevi. Dai primi trovatori la ballata prende il caos delle parole in libertà, l’esperienza liquida del divenire, la riduce a storia e la compone nel fluire di strofe. Prendono parte al ballo, nella parte di infiltrati, autori di grandi ballate, voci amate come quelle di Oscar Wilde, John Keats e Francesco d’Assisi, insieme al genio di un erudito duecentesco, Richart de Fornival, autore di un meraviglioso Bestiario d’amore, che oltre ad educarci e spiegarci la complessità e i meccanismi naturali della seduzione amorosa, ci ricorda che tutto sommato, con le parole di Robert Mcliam Wilson, tutte le storie sono storie d’amore. Pure l’assurda, distruttiva e sanguinosa storia dell’umanità.”
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