Il terremoto di Ischia del 2017, che ha prodotto ingenti danni tra Casamicciola e Lacco Ameno e causando due decessi, può essere letto come un campanello d’allarme. La storia passata dell’Isola, infatti, mostra che spesso i terremoti più forti avvengono a ‘sciami’, nella stessa zona, distanziati temporalmente l’uno dall’altro di alcuni anni, e con una durata totale del movimento di alcuni decenni. Appare quindi prioritaria la messa in sicurezza degli edifici in un’area, ampia circa 20 chilometri quadrati in cui i terremoti del passato sono stati fortemente distruttivi. Un team di ricercatori dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, insieme a colleghi dell’Università di Trieste e dell’Institute of Geophysics, China Earthquake Administration, ha analizzato in dettaglio i terremoti del passato a Ischia in correlazione con la distribuzione dei danni prodotti ai centri urbani che, nel caso del disastroso terremoto del 1883, furono molto ben descritti da Giuseppe Mercalli. Nello studio ‘Seismic risk mitigation at Ischia island (Naples, Southern Italy): an innovative approach to mitigate catastrophic scenarios’, appena pubblicato sulla rivista Engineering Geology, i ricercatori hanno, in particolare, analizzato la sequenza sismica dell’800, iniziata nel 1828 e continuata con altri cinque importanti eventi di cui due, nel 1881 e nel 1883, con danni ingentissimi. “A seguito degli eventi sismici dell’700, Mercalli esorto’ le autorità dell’epoca a evitare di ricostruire con le stesse tecniche e negli stessi luoghi distrutti nel 1881. Purtroppo, non ascoltato, l’evento sismico del 1883 fu particolarmente intenso e i danni alle strutture abitative e, conseguentemente, le vittime furono molto più numerose – ricorda Giuseppe De Natale, ricercatore dell’Ingv – in considerazione dell’urbanizzazione attuale della zona, il nostro lavoro ha anche calcolato, in maniera necessariamente approssimativa, gli effetti che verosimilmente si avrebbero se avvenisse un terremoto simile, rispettivamente, al 1883, al 1881 o al 1828”. “Gli scenari attesi, sebbene implicherebbero meno danni dei terremoti ‘gemelli’ del passato, sarebbero comunque molto importanti, in particolare nella zona di Casamicciola alta cui dovrebbero semmai essere dedicate tecniche costruttive particolari”, aggiunge. “Il lavoro dimostra che il metodo più efficace per la messa in sicurezza delle aree urbane a maggior rischio è quello di consolidare gli edifici in modo che possano resistere, in ciascuna area, alle stesse intensità sperimentate durante il terremoto del 1883, che può essere ragionevolmente considerato il più forte evento atteso”, sottolinea ancora De Natale. “La necessità di nuove ricerche in materia di pericolosità sismica e di una rapida messa in sicurezza dei centri urbani più esposti di Ischia è evidentemente urgente, ma rappresenta comunque un paradigma per l’intero territorio Italiano dove, purtroppo, terremoti di magnitudo anche estremamente modesta causano vittime e danni inaccettabili”, conclude. Altri recenti studi, realizzati da altri ricercatori dell’Istituto, propongono diversi modelli e interpretazioni sia dell’evoluzione della struttura sismogenica dell’isola d’Ischia che della sua pericolosità. In particolare, allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile ottenere una interpretazione certa e univoca dei processi attualmente in atto nel sottosuolo isolana.
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