Ci sarebbero contrasti sulla spartizione e la gestione in monopolio degli affari legati alla coltivazione di marijuana ‘fatta in casa’ dietro l’omicidio eccellente di ieri sera in cui è stato ucciso sotto casa, a Casola, il boss Antonino Di Lorenzo, 53 anni, detto ‘o lignammone. La sua leadership è durata meno di due anni; il 53enne aveva preso il posto di un suo conterraneo Ciro Orazzo, detto o’ pisciariello ucciso in un appezzamento di campagna a Casola il 13 marzo del 2017, assassinato probabilmente perchè in disaccordo con gli altri narcos sulla gestione delle migliaia di piantagioni di canapa che sono ben nascoste tra i boschi della zona. Ciro Orazzo, nipote acquisito dell’anziano boss Catello Cuomo ‘ o caniello, patriarca della camorra della provincia di Napoli, (morto di vecchiaia alcuni mesi fa)avendo sposato la nipote era considerato dagli investigatori uno dei gestori del traffico di marjiuana dei Monti Lattari.
Era il braccio destro di Mario Cuomo, il figlio del boss ucciso nell’agosto del 2012 in un campo di calcetto mentre giocava con gli amici. Cuomo e Orazzo gestivano un lucroso traffico di droga con Albania ed erano entrati in contrasto con la cosca dei “pimontesi” egemoni nella zona e che controllano gran parte delle piantagioni di erba sui Lattari. Ma Orazzo era andato in contrasto anche con lo stesso Di Lorenzo. Gli investigatori ritengono che l’omicidio abbia avuto anche ‘il permesso’ dei clan di Castellammare di Stabia, da sempre supervisori dei traffici milionari che ruotano attorno alle coltivazioni di droga. Le piante, una volta essiccate, vengono tagliate e le infiorescenze o lavorate per fare hashish o vendute cosi’ come sono. Un un mercato vastissimo, che raggiunge anche Salerno e la Calabria. La zona dei Monti Lattari, la cosiddetta Jamaica dell’Italia, e’ ancora una volta al centro di una faida di camorra dagli interessi economici ingenti. Gli investigatori hanno sequestrato il cellulare della vittima e sperano di trovare elementi utili alle indagini. Hanno interrogato i familiari e in maniera particolare il figlio Carmine pure lui arrestato nell’operazione delle piantagioni di canapa sui monti della Marsica in Abruzzo lo scorso anno e per il quale di recente la Procura de l’Aquila ha chiesto il rinvio a giudizio insieme con gli 11 complici tra cui appunto lo stesso padre. Il giovane di certo è a conoscenza dei traffici del padre ma molto probabilmente anche delle persone con le quali era entrato in contrasto. Di Lorenzo era sottoposto alla sorveglianza speciale (andava a firmare ogni giorno presso la caserma di carabinieri a Gragnano) e aveva l’obbligo di rincasare entro le 21. E ieri sera i killer, spendo le sue abitudini, hanno atteso appunto che rincasasse. Gli hanno teso un agguato vecchio stile: armati di fucili e nascosti nella boscaglia come ai tempi della sanguinosa faida tra gli Imparato e i D’Alessandro. Prima di Antonino Di Lorenzo e Ciro Orazzo si era registrato un altro omicidio sempre a Casola:la sera del 30 settembre del 2016 fu ucciso l’agricoltore Pasquale Starace di 63 anni. Fu ucciso da due killer in moto mentre tornava a casa dopo aver trascorso la serata al bar con gli amici. Starace aveva lavorato come contadino nel podere del ras di Casola, Catello Cuomo ‘o caniello e Ciro Orazzo, Da qualche anno però Pasquale Starace si era allontanato, per alcuni dissidi sorti, dalla famiglia Cuomo e non stava lavorando. Alcuni mesi prima che venisse ucciso c’era stato un altro agguato sempre a Casola in cui fu ferito proprio Ciro Orazzo. E in quella occasione i carabinieri sequestrano alcuni fucili subito in casa dell’agricoltore Pasquale Starace di 63 anni. In quell’occasione fu portato in caserma insieme con la moglie e il figlio. Starace era un abile cacciatore anche se invalido parzialmente a una mano proprio a causa della caccia. Da giovane infatti durante una battuta il fucile gli scoppiò in mano tranciandogli alcune dita della mano. Tutti questi elementi e questa scia di sangue portano gli investigatori verso una faida molto locale. Il boss Antonino Di Lorenzo, ucciso ieri sera, aveva ottimi rapporti con i “pimontesi” e per questo che si ritiene di escluderli in questa prima fase anche se l’utilizzo del fucili è una loro “firma”.
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