Dal 41 bis ai domiciliari. Sconterà a casa la condanna a sette anni e 10 mesi inflittagli nel luglio scorso dal tribunale di Paola, il “re del pesce” Franco Muto, presunto boss di Cetraro. La decisione di revocare la misura restrittiva più dura – adottata dal Tribunale della Libertà che ha accolto la richiesta dei domiciliari avanzata dai legali di Muto, Luigi Gullo e Nicola Guerrera – ha suscitato polemiche. Il presunto boss della costa tirrenica cosentina, che ha 79 anni e problemi alla deambulazione che lo hanno portato a subire diversi interventi, attraverso i propri difensori aveva chiesto la revoca del regime duro in seguito alla sentenza del processo “Frontiera” (scaturito da un troncone dell’indagine sull’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco-pescatore di Pollica ucciso nel 2010), emessa a giugno scorso dai giudici del Tribunale di Paola. In quella circostanza Muto era stato assolto per il reato di associazione mafiosa e condannato a oltre 7 anni per intestazione fittizia di beni. Secondo quanto emergeva da quella sentenza che ha rideterminato la mappa del potere interno al clan, “il re del pesce” non sarebbe più il capo della cosca di Cetraro ma lo scettro sarebbe passato al figlio Luigi, condannato nello stesso procedimento e anche lui sottoposto al regime del 41 bis. In precedenza la richiesta di revoca del carcere duro per Muto era stata rigettata sia dal Tribunale di Paola, sia dal Riesame e anche dalla Cassazione sulla base di consulenze medico legali secondo le quali le sue condizioni di salute erano compatibili con il regime carcerario. La decisione di revocare la misura e di concedere i domiciliari ha comunque dato la stura a una ridda di reazioni. “Mi domando – ha affermato il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra – se chi ha giudicato abbia valutato con la massima prudenza possibile la richiesta avanzata dai legali di Muto, non fosse altro che questa decisione, per quanto possa esser stata legittima e ponderata, verrebbe a smentire tutte le precedenti, di segno opposto. Mi auguro che le autorità competenti facciano un’ulteriore valutazione”. A parere della vicepresidente dell’organismo, Jole Santelli, “boss del calibro di Muto non vanno in pensione. Aspettiamo di conoscere le motivazioni della decisione”. Per il giornalista Klaus Davi, consigliere comunale a San Luca, la decisione e’ “assurda e inconcepibile, senza alcun senso”. Stefano Graziano, commissario del Pd calabrese, parla di decisione “assurda” e invoca l’intervento del ministro Bonafede. Anche per il senatore dem Ernesto Magorno la decisione dei giudici “lascia senza parole”.
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