Salerno. Due gruppi distinti che spacciavano sostanze stupefacenti in autonomia ma che al momento del bisogno si rifornivano vicendevolmente. Spacciatori che avevano messo in piedi un vero e proprio call center per esaudire le migliaia di richieste. “Fattorini” che portavano fino a casa la droga. A far luce su queste realtà, la squadra mobile della Questura di Salerno che questa mattina ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare personale emessa dal gip del tribunale di Salerno che ha accolto le richieste della DDA locale nei confronti di 15 indagati. Sono indiziati di reato di traffico e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Nel corso delle perquisizioni, la polizia giudiziaria ha arrestato in flagranza di reato uno degli indagati avendo trovato nella sua abitazione un bilancino di precisione, della sostanza stupefacente e della sostanza da taglio. Le indagini dirette dalla Direzione distrettuale antimafia locale e svolte dalla squadra mobile di Salerno, seconda sezione ‘contrasto alla criminalità diffusa, straniera e prostituzione’, hanno permesso di ricostruire le fasi, la filiera dello spaccio e i compiti di ogni indagato all’interno dell’organizzazione. Gli arrestati avevano costituito due distinti gruppi criminali con basi operative nel rione Petrosino e Calcedonia e spacciavano cocaina, eroina e metadone sull’intera città e anche in alcuni comuni limitrofi. Entrambi i gruppi avevano organizzato un vero e proprio call center, con utenze telefoniche dedicate che ricevevano le continue richieste di sostanze stupefacenti e gestivano le successive consegne che avvenivano attraverso altri pusher i quali si spostavano come dei veri propri fattorini. Alcune cessioni di sostanze stupefacenti venivano portate direttamente a casa di quei tossicodipendenti che si trovavano in regime di arresti domiciliari. Per non essere scoperti, veniva utilizzato un linguaggio in codice: la cocaina era chiamata “bianco” o “veloce”, l’eroina veniva chiamata “scuro” o “lento” mentre il metadone veniva chiamato “sciroppo”. Alcuni indagati gestivano le attività illecita con l’aiuto di altri familiari, infatti alcuni arrestati sono uniti da vincoli parentali o sono sposati o conviventi.
L’ordinazione avveniva al telefono; la consegna, invece, assicurata da una ‘squadra’ di rider-pusher. Ma, la qualità di quegli stupefacenti era talmente tanto scadente e ancor più nociva che diversi ‘clienti’ si sono sentiti male. L’inchiesta è stata avviata nel marzo scorso ed è stata definita dal pm titolare del fascicolo Elena Guarino, “da manuale”. Perché, oltre alle classiche intercettazioni, gli episodi di cessioni di droga sono stati documentati anche con riprese video. E, inoltre, è stata utilizzata la tecnica dell’arresto differito per riuscire a scovare da dove arrivassero gli stupefacenti. Le basi operative dei due gruppi erano nei rioni collinari ‘Petrosino’ e ‘Calcedonia’. Li’, una sorta di call center con utenze telefoniche ‘usa e getta’ riceveva le richieste, evase, poi, da una rete di pusher che, in sella a veloci scooter, quasi come fossero pony express, smistavano la cocaina, l’eroina e il metadone in tutto il capoluogo e in alcuni comuni limitrofi. Quelle utenze telefoniche, perché il cliente avesse sempre il riferimento pronto a ricevere la richiesta, passavano da pusher a pusher, a seconda dell’orario di servizio dello spacciatore. Ma, le consegne sarebbero state effettuate anche al domicilio di alcuni tossicodipendenti agli arresti domiciliari. Lo smercio avveniva anche nei pressi di istituti scolastici, dalla scuola ‘Calcedonia’ al liceo ‘Tasso’, o nei pressi di un cinema del quartiere ‘Carmine’. Elemento questo che il gip, nell’ordinanza, ha ritenuto un’aggravante al pari della scarsa qualità della droga venduta. Alcuni degli indagati sono legati tra loro da vincoli familiari, come coniugi e conviventi. “Si parla di migliaia di richieste di droga – ha spiegato il procuratore capo facente funzioni, Luca Masini, a margine di una conferenza stampa – perché erano continue e ininterrotte al punto che, a volte, le organizzazioni si trovavano in carenza di sostanza stupefacente, quindi non potevano fare fronte”. Ed era allora che il capo di un gruppo avrebbe chiesto ausilio all’omologo dell’altro, “proprio per poter sopperire alla domanda sempre crescente da parte di centinaia di assuntori”, ha concluso Masini.
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