Salerno. Avevano un giro di affari da fare invidia anche alla Scampia dei tempi migliori i pusher salernitani arrestati ieri nel corso di un blitz portato a termine dalla squadra mobile e che ha portato in carcere 16 persone su misura cautelare in carcere emessa dal gip Piero Indinnimeo e su richiesta del sostituto procuratore antimafia, Elena Guarino. Sono tutti accusati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e successiva cessione con l’aggravante di aver spacciato droga di scadente qualità e nei pressi di luoghi frequentati da minorenni. In pochi mesi hanno soddisfatto ben 50mila clienti che facevano le richieste attraverso i telefonini. La città era stata divisa tra i due gruppi di pusher sgominata ieri. Una nel rione Calcedonia, che faceva capo al 34enne salernitano Fabio Grimaldi e l’altro nel rione Petrosino, controllato invece da Gerardo Pastore, 51 anni di Salerno. Del gruppo del rione Calcedonia facevano parte Vincenzo Copina, 21enne, stretto collaboratore del capo Grimaldi e che, secondo le accuse, si occupava della detenzione della droga ed anche del taglio. In carcere sono finiti anche Antonio Fuoco, 62 anni di Salerno; Rosario Chiorazzi, 47anni di Salerno; Guido Errico, 51enne di Nocera Superiore; Massimo Di Domenico, 50enne salernitano; Virginia Fortunato. Nel rione Petrosino, invece, lo stretto collaboratore di Gerardo Pastore era Giovanni Lucich , 36 anni di Salerno. Con lui in carcere sono finiti Alessandro Maiorino, 47 anni di Baronissi; Laura Napoletano, 49 anni di Salerno; Vincenzo Pisapia, 35 anni; Marco Russomanno, 37 anni e Rosario Santoro, 38 anni, tutti e tre di Salerno. E infine Vincenzo Senatore, 36 anni di Pellezzano. In alcuni casi quando una delle due organizzazioni di spacciatori rimaneva sfornita della materia prima veniva aiutata dall’altra che “prestava” la roba. Entrambi i gruppi avevano organizzato un vero e proprio call center, con utenze telefoniche dedicate che ricevevano le continue richieste di sostanze stupefacenti e gestivano le successive consegne che avvenivano attraverso altri pusher i quali si spostavano come dei veri propri fattorini. Alcune cessioni di sostanze stupefacenti venivano portate direttamente a casa di quei tossicodipendenti che si trovavano in regime di arresti domiciliari. Per non essere scoperti, veniva utilizzato un linguaggio in codice: la cocaina era chiamata “bianco” o “veloce”, l’eroina veniva chiamata “scuro” o “lento” mentre il metadone veniva chiamato “sciroppo”. Alcuni indagati gestivano le attività illecita con l’aiuto di altri familiari, infatti alcuni arrestati sono uniti da vincoli parentali o sono sposati o conviventi.
Articolo pubblicato il giorno 24 Settembre 2019 - 06:14