Giuseppe Conte eè al tavolo con le delegazioni M5s e Pd per definire la squadra di governo, quando il responso di Rousseau da’ ufficialmente il via alla volata finale per la nascita del governo giallorosso. Il premier incaricato ha la notte per comporre la lista dei ministri che a ore dovrebbe portare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella con l’obiettivo di giurare tra mercoledì sera o giovedì per poi presentarsi alle Camere nel weekend o a inizio settimana. La strada è in discesa, ma piena di ostacoli, con guerre tra partiti e correnti. Al bis, Conte avrà un ruolo più forte a Palazzo Chigi, senza vicepremier e con un sottosegretario di sua fiducia ad affiancarlo (Roberto Chieppa, che potrebbe avere la meglio sul M5s Vincenzo Spadafora). Ai vertici di governo, quando dovrà mediare tra i partiti, troverà Luigi Di Maio da capo politico del M5s e Dario Franceschini, “capo delegazione” del Pd, in conseguenza della scelta del segretario Nicola Zingaretti e del passo indietro di Andrea Orlando. Di Maio dovrebbe essere ministro degli Esteri, l’incarico più “di peso” tra quelli sul tavolo (ma fino alla fine circolano altre ipotesi come Lavoro o Difesa). Franceschini dovrebbe tornare alla Cultura, incarico ricoperto nei governi Renzi e Gentiloni (anche per lui in alternativa c’è la Difesa). Paolo Gentiloni dovrebbe essere commissario Ue (anche se fino all’ultimo girano nomi come Paola Severino o Vittorio Colao). Il premier incaricato e’ consapevole dell’attenzione con cui il presidente della Repubblica esaminerà la lista dei suoi ministri, soprattutto nelle caselle cruciali per l’economia e le relazioni internazionali: Tesoro, Viminale, Difesa, Esteri. All’Interno, in particolare, sarebbe auspicio comune al premier incaricato e al Pd indicare un tecnico di alto livello, anche per evitare che i prossimi mesi di legislatura si trasformino in una battaglia continua con Matteo Salvini sulla gestione dell’ordine pubblico e dell’immigrazione: il prefetto di Milano Luciana Lamorgese o il capo della Polizia Franco Gabrielli sarebbero più difficilmente attaccabili sul piano politico. Altro snodo l’Economia: la prima “emergenza” del governo è infatti scrivere Def e legge di bilancio, senza avere neanche il tempo di carburare. Serve perciò una personalità in grado di dialogare da subito con l’Europa, in stretto contatto con Farnesina e Palazzo Chigi, per ottenere i possibili spazi di bilancio tenendo in ordine i conti. Ecco perché, in uno schema che affida la scelta di via XX Settembre al Pd, restano in pista tutti nomi tecnici e un solo politico, Roberto Gualtieri, che piace a tanti Dem. Tra i tecnici in short list ci sono Giuseppe Pisauro, Salvatore Rossi (considerato da alcuni troppo rigorista), Dario Scannapieco, Marcello Messori, Pierluigi Ciocca, Fabrizio Pagani. Per tutto il giorno si susseguono riunioni, contatti tra diplomazie, tavoli politici convocati e sconvocati. Il lavoro e’ incessante, Conte si assente da Palazzo Chigi solo un’ora, probabilmente per andare dal barbiere. Anche Di Maio vede i suoi a Chigi e conferma loro che resterà nel governo, con altri due ministri già gialloverdi, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Al governo dovrebbero poi traslocare i capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva e, in una squadra che oscilla tra i 16 e i 20 ministri (con quasi parità tra M5s e Pd), dovrebbe trovare spazio con un ministero anche l’ala ortodossa vicina a Roberto Fico. Più complicata la partita in casa Pd, dove le correnti vogliono rappresentanza. Orlando, in predicato per gli esteri si fa da parte: dovrebbe restare vicesegretario unico se Paola De Micheli, come probabile, andrà al governo e potrebbe anche essere capogruppo alla Camera, se un ministero andrà a Graziano Delrio. Il passo di Orlando da’ anche l’esempio agli altri capicorrente, sulla via della “pax” interna invocata da Nicola Zingaretti, insieme a una mobilitazione di tutti per rafforzare il partito. Ma la battaglia e’ in corso: spunta l’ipotesi che dalla Cgil arrivi al governo Serena Sorrentino, ma sarebbe osteggiata da molti. Grande attenzione c’e’ poi alle mosse di Matteo Renzi, che storce il naso all’idea di Di Maio alla Farnesina e va ripetendo che se il governo non sarà “di qualità” i suoi daranno una mano da fuori “secondo una formula del governo amico”. La richiesta dei renziani è, su una delegazione di otto, avere tre ministeri (Guerini, Rosato, Bellanova, Ascani, i nomi in partita). Ma l’ex premier sarebbe pronto fino all’ultimo alle mani libere.
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