“Quando sei in campo, sparisce la vita, spariscono i problemi, sparisce tutto”. La frase la pronuncia Diego Armando Maradona, il mito del calcio, intervistato da Asif Kapadia, “solo con il registratore, senza telecamere”, come spiega il regista.
Una leit motiv che il premio Oscar utilizza due volte nel suo docufilm ‘Diego Maradona’, quasi a tracciare e sintetizzare le due facce del calciatore piu’ amato e odiato al mondo, quella di Diego e quella di Maradona. “Tutto quello che e’ accaduto – spiega Kapadia – se lo metti su una stringa temporale, prima del 1984 riguarda Diego, il ragazzo cresciuto nella favela piu’ povera dell’Argentina che grazie al calcio trova un riscatto, e dopo riguarda Maradona, il mito, l’eroe, un dio”.
E proprio da quel 5 luglio di 35 anni fa, quando nel capoluogo campano arrivo’ il Pibe de Oro dal Barcellona, partono i 130 minuti che concentrano tre anni e mezzo di ricerche, interviste, produzione e montaggio (affidato a Chris King) della pellicola che in Italia esce con Nexo Digital e Leone film group solo per tre giorni (23, 24 e 25 settembre prossimi), distribuita in 300 copie nelle sale della penisola.
Cuore del film, materiale trovato da Paul Martin, uno dei produttori, e cioe’ riprese fatte da due operatori, l’argentino Juan Carlos Laburu e l’italiano Gino Martucci, su incarico del primo manager di Diego, Jorge Cyterszpiler. Centinaia di ore di filmati, dall’81 all’87, tra immagini rare e inedite, cui si aggiungono filmati d’archivio del giocatore ragazzino, e contenuti delle videocassette Vhs della sua prima moglie Claudia Villafane e riprese di Gennaro Montuori, capo degli ultra’ del Napoli.
“Sono appassionato di calcio, amo il Napoli e ne sono tifoso tranne che quando gioca con il Leverpool – scherza il regista, a Napoli per l’anteprima alla vigilia della partita di Champions league tra le due squadre – la prima idea del film l’ho avuta nel 1996/7,
da studente, quando ho letto un libro su Maradona e mi sono detto che sarebbe stato un soggetto interessante. Ho avuto la prima opportunita’ di farlo quando gia’ avevo concluso ‘Senna'(nel 2010, ndr), e dopo il campione brasiliano mi sembrava ridondante fare un altro film su un altro sportivo latinoamericano, anche se questo era vivo. Ma durante la promozione di ‘Amy’ (Oscar come miglior documentario nel 2015, ndr.), diventato anche piu’ adulto, ho deciso di affrontare questa sfida durissima”.
La pellicola Diego non l’ha ancora vista, rivela Kapadia, che si era riservato una parte delle 9 ore di intervista patteggiate con il campione proprio per raccogliere, questa volta con la telecamera dietro, la sua impressione. Ma “Claudia, i figli, Fernando Signorini (l’ex personal trainer di Maradona, ndr.) e Daniel Arcucci (il giornalista argentino che ne e’ amico da 30 anni, ndr.) l’hanno gia’ visto. Tutti quelli che lo hanno visto. compreso Diego jr, hanno detto che il film e’ onesto, per quanto per molti di loro sia stato sconvolgente”.
Perche’ in questo lavoro c’e’ anche la parte piu’ nera della vita del campione: la droga, i rapporti con la camorra, gli insulti dagli spalti, la vita notturna sfrenata, la ribellione, il suo rapporto difficile a un certo punto con la citta’ che lo amava fino a soffocarlo e con la dirigenza della squadra, tanto da fargli sognare di “concludere la mia carriera in una citta’ piu’ tranquilla”, ribadisce Maradona a Kapadia (l’allusione e’ al tentativo di transitare nel Marsiglia, ndr.) e da far confessare a Corrado Ferlaino, patron del Napoli Calcio che acquisto’ il campione, “sono stato il carceriere di Diego”.
“Non credo che ci sia qualcosa che Diego rimpianga o rigetti nel suo passato. Non penso che lui guardi mai indietro, lui guarda sempre avanti – spiega il regista – c’era comunque una grande affinita’ tra lui e Napoli. Qui si sentiva a casa, qui si aveva bisogno di lui e lui aveva bisogno dei napoletani.
Era un match perfetto”. “Se penso di aver conosciuto Diego o Maradona? E’ una domanda difficile. Forse Maradona, anche se io volevo fare un film sul giovane Diego. La sua faccia e’ cambiata rispetto a quando e’ arrivato, per motivi diversi dal calcio. Questo e’ un film agrodolce”, conclude.
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