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Progettavano l’omicidio della moglie del boss esercitandosi col fucile di precisone su un manichino da donna

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Progettavano l’omicidio della moglie e del figlio del boss Biagio Cava. Cinque esponenti del clan Graziano di Quindici sono stati arrestati dai carabinieri del comando provinciale di Avellino su ordine della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Tra questi Fiore e Salvatore Graziano, figli del capoclan. Arrestati anche due imprenditori del settore delle pompe funebri. Nei giorni scorsi e’ stato trovato dai carabinieri del reparto speciale dei Cacciatori del Gargano un manichino di donna con due fori all’altezza del cuore procurati da un fucile di precisione. La scarcerazione alcune settimane fa di Salvatore Cava, figlio del boss Biagio morto di tumore dopo una lunga detenzione in regime di 41 bis, ha riacceso la faida che si trascina da piu’ di 40 anni con il clan Graziano. Il Vallo di Lauro per alcune settimane e’ stato tenuto sotto stretta osservazione dalle forze dell’ordine, in particolare dai carabinieri del comando provinciale di Avellino, che hanno richiesto anche l’intervento del nucleo speciale dei Cacciatori del Gargano, per battere palmo a palmo le campagne e i boschi tra Quindici e Lauro. Zone impervie, piene di nascondigli utilizzati in passato da vari esponenti dei due clan per nascondersi. Le ricerche hanno portato alla scoperta di un manichino di donna, con un nastrino azzurro in vita e due fori all’altezza del cuore. Colpi esplosi da un fucile di precisione. Il ritrovamento ha fatto pensare subito al progetto di un omicidio. E non e’ stato difficile per gli inquirenti della Dda di Napoli individuare in poco tempo il bersaglio di quel progetto. Salvatore Cava, ma anche sua madre Rosalba Fusco, erano il vero obiettivo dei fratelli Fiore e Salvatore Graziano, figli del boss Arturo Graziano, gli unici al vertice dell’organizzazione ancora in liberta’. E sono stati arrestati all’alba assieme ad altri esponenti. In carcere anche Antonio Mazzocchi, Domenico Ludovico Rega e Domenico Desiderio. Le accuse sono di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per una serie di attentati e minacce compiuti nel Vallo di Lauro, in particolare contro un’impresa di pompe funebri di Domicella che gestisce anche l’unico impianto di cremazione in Campania. Dal titolare i Graziano pretendevano una tangente da 100mila euro. E le minacce sono state continue e pressanti, dai blitz in azienda per terrorizzare i dipendenti, agli spari contro il cancello della ditta. Stesso metodo anche con un’impresa edile incaricata di realizzare i lavori per un parcheggio nei pressi dell’impresa funebre di Domicella. I carabinieri di Avellino stavano indagando sui vari episodi registrati tra il 2017 e il 2018, senza grande collaborazione da parte delle vittime delle minacce, che comunque non si sono piegate alle richieste estorsive. Grazie ad alcune intercettazioni ambientali e telefoniche, il quadro e’ stato ricostruito, ma a imprimere una svolta e’ stato il ritrovamento del manichino. La Dda ha subito allertato le prefetture di Napoli e Avellino per intensificare i controlli in quel territorio a cavallo tra le due province, per il rischio di nuovi attentati anche di particolare gravita’. Nell’indagine sono coinvolti anche la moglie di Antonio Mazzocchi, Rosaria Graziano, e Vincenzo Cirillo, legato al clan. (


Articolo pubblicato il giorno 1 Agosto 2019 - 15:07

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