Pompei. Un brutto mattino di una ventina di giorni fa chi, come me, si è trovato a percorrere la Via Nolana, intasata di traffico e di smog come sempre, gettando uno sguardo all’incrocio con Via Spinelli avrà sobbalzato. Il motivo? La assenza imprevista della sagoma scura e massiccia della antica Masseria dei Piccolomini d’Aragona, ridotta ormai a un cumulo di macerie insieme a un altro volume antico retrostante. Accanto, sopravvissuta per caso alla distruzione, rimane solitaria la Cappella, mutilata del leggiadro torrino campanario sei-settecentesco di coronamento dell’impaginato architettonico della facciata.
E si notano sui fianchi della cappella due ridicole briglie tessili di serraggio, messe ad arte da qualcuno, evidentemente per beffare i controlli e giustificare la demolizione. Insomma al danno si somma la beffa. La masseria oggi demolita connotava il territorio pompeiano settentrionale. Essa è stata nota ai Pompeiani di Valle di Pompei come masseria Spinelli-Piccolomini d’Aragona e poi, nell’ultimo secolo da poco trascorso, era nota ai pompeiani prevalentemente come Masseria Calvanese. Infine, ma soltanto negli ultimi decenni, si chiamava anche Masseria Criscuolo. La “peregrinazione” del suo nome appellativo ne testimonia la lunga storia, cominciata al tempo della grandiosa dominazione Aragonese sul Regno di Napoli, quindi in epoca rinascimentale. I Piccolomini ebbero la occasione di fornire alla Corte Aragonese napoletana i propri servigi di valorosi guerrieri difendendo vittoriosamente Castellamare, allora non ancora di Stabia, perché Stabia non era stata ancora scoperta. Gli Aragonesi consentirono quindi che la nobile famiglia Piccolomini potesse aggiungere al proprio cognome “d’Aragona”, marchiandone nei secoli la appartenenza e la fedeltà.
Da Amalfi, il cui dominio fu affidato dagli Aragonesi ai Piccolomini, essi attuarono una politica espansionistica attenta agli interessi anche commerciali del Casato. Da qui la presenza attiva dei Piccolomini, al di qua dei Monti Lattari, a Scafati e a Valle, allora non ancora di Pompei, perché Pompei neanche non era stata ancora scoperta.
Furono appunto i Piccolomini nel Milleseicento a creare una rete di Torri di avvistamento sulla terra ferma e un Canale di acqua corrente lungo circa sei chilometri nel territorio vallivo e fluviale tra Scafati e Valle, attraversato dal Sarno. Il Canale si chiamò Bottàro ed era una vera meraviglia di tecnica idraulica, perché era “pensile”. Esso cioè attraversava la campagna su archi e pilastri, mantenendosi a quota più alta del circostante piano di campagna. L’acqua così si manteneva pulita e idonea ad alimentare mulini per il grano, cartiere per la produzione di carta Amalfitana e gualchiere per i tessuti.
Nella nostra area pedevesuviana bagnata dal Sarno, sia a Scafati, che a Valle, che a Torre della Nunziata sono poi sopravvissute per secoli le grandi tradizioni artigiane preindustriali introdotte dai Piccolomini d’Aragona. E nel nostro territorio le grandi capacita artigiane e industriali nell’arte molitoria e nell’arte bianca, nella produzione di carta , stoffe, cotoni e lini ancora oggi si possono cogliere. Sopravvive ancora infatti la presenza di nuclei produttivi di attività di tal genere, isolate purtroppo, quando non travolte dalla crisi globale.
Questa lunga digressione mi è servita per far pienamente capire al lettore la gravità della totale demolizione della Masseria Piccolomini D’Aragona. La mano sciagurata della proprietà, guidata forse dalla mente e dalla mano di qualche tecnico senza scrupoli ha cancellato dalla Storia e dalla Geografia del nostro Territorio una testimonianza storica di eccezionale valore, sopravvissuta indenne a eruzioni, terremoti e guerra.
Non è credibile quindi la tesi della dichiarazione di stato di pericolo di crollo che sembra essere stata avanzata a giustificazione di un intervento di messa in sicurezza statica, risoltosi invece con la distruzione che è sotto gli occhi di tutti: un cumulo informe di macerie.
Dalle notizie giunteci sembra che negli anni novanta del Novecento il progetto di demolizione della Masseria sia stato già respinto dalla Soprintendenza ai Monumenti allora competente per Zona. Oggi è la Soprintendenza “mista” della Provincia di Napoli quella competente per territorio, nel guazzabuglio geopolitico di competenze nei beni Culturali recentemente stabilito dalla Legge. Ad essa va il nostro appello per una esemplare soluzione in forza del Codice dei Beni Culturali Legge, che scoraggi per il futuro fatti così gravi e turpi a danno della identità del ns territorio.
Federico L.I. Federico
Articolo pubblicato il giorno 3 Agosto 2019 - 17:02