Case “vista mare” costruite nel totale disprezzo delle leggi, del paesaggio, del diritto collettivo a poterne godere e della sicurezza di chi ci vive. Spesso addirittura si trovano intere cittadelle dove non c’è nemmeno un mattone in regola. Il cemento illegale ha invaso negli ultimi decenni le coste italiane e ancora oggi sembra esserci una sola certezza: poco o nulla viene buttato giù. Le demolizioni dei manufatti abusivi sono ferme al palo e nelle zone costiere è ancora più evidente. Bastano pochi numeri per capire l’entità del fenomeno.
Secondo Legambiente sono 32.424 le ordinanze di demolizione emesse dal 2004 al 2018 in poco più del 20% dei comuni costieri italiani che hanno risposto all’indagine “Abbatti l’abuso”. Di queste però solo 3.651 sono state eseguite, cioè con il ripristino dei luoghi e l’abbattimento del manufatto abusivo: in pratica poco più dell’11%. E se nelle aree interne la media delle ordinanze di demolizione è di 23 a comune, spostandosi al mare il dato decuplica arrivando a 247 per ogni comune, a conferma del fatto che l’abusivismo lungo costa sia quello quantitativamente maggioritario.
Numeri presentati oggi in occasione del passaggio in Campania di Goletta Verde, la storica imbarcazione ambientalista in viaggio anche quest’anno contro i nemici del mare. I volontari di Legambiente hanno esposto questa mattina lo striscione “Giù le mani dalla costa” per ribadire l’urgenza di ripristinare la legalità lungo le aree costiere italiane. Una regione, la Campania, scelta non a caso: qui le demolizioni lungo il litorale negli ultimi quindici anni non arrivano neanche al 2%. Peggio fanno solo il Molise (fermo a zero) e le Marche (dove si sfiora l’1%), ma chiaramente con dati quantitativi molto diversi: la Campania guida, infatti, la classifica delle regioni per numero di ordinanze emesse, sia nei comuni costieri che nei comuni dell’entroterra, ma ha demolito solo il 3%. Se prendiamo in considerazione solo gli abusi realizzati lungo la costa in questa regione si contano ben 11.092 ordinanze emesse e solo 220 quelle eseguite. In Calabria siamo al 5,2% e in Puglia al 6,4%. Tra le regioni del Sud, fa eccezione la Sicilia, che arriva a una percentuale del 15% nel rapporto tra ordinanze di abbattimento emesse e realmente eseguite. La performance migliore, secondo l’elaborazione di Legambiente, è del Friuli-Venezia Giulia, con il 45%.
«Siamo di fronte a una pagina vergognosa della storia italiana che ha prodotto e alimentato illegalità e ha cambiato i connotati a intere aree del Paese – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente –. Non c’è altra soluzione, contro gli abusi edilizi il migliore deterrente sono le demolizioni e non certo nuovi condoni come fatto con il Decreto Genova lo scorso anno per la ricostruzione post terremoto nel cratere del centro Italia e per Ischia. Per farlo però occorre procedere a una riforma legislativa che passi ai prefetti la competenza delle operazioni di abbattimento, perché non condizionati dal ricatto elettorale, lasciando ai Comuni soloil controllo urbanistico del territorio e la repressione dei reati, compresa l’emissione delle ordinanze di demolizione. Solo così potremo riscattare interi territori e le loro comunità, ripristinando legalità, sicurezza e bellezza».
Oggi, infatti, i Comuni agiscono più che altro su sollecitazione della Procura della Repubblica, almeno per gli immobili colpiti da ordinanze sancite da sentenza di terzo grado. Di fronte all’aut aut dei giudici, i sindaci hanno poche alternative. Gli abusivi lo sanno e, non di rado, decidono di auto-demolire, risparmiando migliaia di euro di spese: in media, per ogni abuso abbattuto d’ufficio ne viene abbattuto uno direttamente dagli stessi proprietari.
In quest’ottica è nata l’intesa sottoscritta pochi mesi fa tra il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania per un contrasto sempre più incisivo all’abusivismo. Dal 2000 sono 126 le ordinanze di demolizione emesse dall’Ente Parco che riguardano per lo più i comuni costieri del Cilento. Venti di queste sono già esecutive e si è pronti con gli abbattimenti.
«Grazie a questo accordo di programma in autunno inizieranno le prime demolizioni – spiega Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania -. Una buona notizia per i cittadini che potranno così riappropriarsi di un pezzo di questa stupenda costa, a dimostrazione che la lotta all’illegalità e per lo sviluppo di un turismo diverso è una sfida che si può vincere anche in questa regione dove le demolizioni di opere abusive sembrano restare perennemente ferme al palo».
La reticenza dei comuni italiani nell’affrontare questo problema si riflette anche nella mancata trasparenza nel diffondere i dati sul fenomeno. In un quadro già di per sé negativo (all’indagine di Legambiente sull’abusivismo nei comuni italiani hanno risposto appena il 22,6% degli enti), i Comuni litoranei – nonostante siano quelli colpiti da un tasso di abusivismo maggiore – rispondono anche meno rispetto alla media nazionale: solo il 20,3% ha voluto fornire informazioni. Le regioni più trasparenti sono state l’Emilia-Romagna, con il 64,3% dei comuni litoranei che ha messo a disposizione le informazioni; il Veneto con il 45,5% e la Sardegna con il 38%. In Campania e nel Lazio ha risposto il 16,7% dei comuni, in Sicilia il 16,4%, in Calabria il 10,3%, mentre solo il 7,5% dei comuni costieri della Puglia ha dato risposta, relegandola a fanalino di coda della classifica.
Di demolizioni si parla sempre meno nel nostro Paese nonostante si tratti di una realtà molto diffusa, e in particolare nelle regioni meridionali, dove i litorali sono più belli e quindi più appetibili. Le ruspe faticano ad arrivare, perché le case per le vacanze “non si toccano”. Perché spesso tra quelle villette affacciate sull’arenile, che consentono di fare un tuffo in mare percorrendo pochi passi, non ci sono quelle dei mafiosi ma anche dei “colletti bianchi”. E per salvare le loro case abusive, salvano anche tutte le altre.
A questa regola, fanno eccezione pochi casi, che Legambiente racconta puntualmente nei suoi dossier, come ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo, piuttosto che a Lecce o nella fascia costiera di Licata, sul mare agrigentino.
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