“Guardi, ho pochissime capacita’ previsionali, ma l’ambito dal quale muovo il mio punto d’analisi e’ che la politica non potesse dare altra prova che la sua morte”. E’ lapidario l’incipit del colloquio di Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione comunista e poi anche ex presidente della Camera dei deputati, in un’intervista con Il Foglio. “La sinistra poteva determinare la sua rinascita, ma soltanto con il voto. Sono sconcertato: non faccio le elezioni perché perdo. Ma le pare un argomento questo?”. Per l’ex presidente dell’Aula di Montecitorio ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni e mesi “sono davvero gli spasmi della morte della politica. E quando dico politica – aggiunge – intendo quella forma di democrazia costituzionale per come l’abbiamo conosciuta nel secondo dopoguerra”. L’ex segretario del Prc, dunque, per la politica oggi non c’e’ spazio e l’azione politica in se’ e per se’ “e’ stata destrutturata ed e’ entrata in un percorso di eutanasia”, analizza, tanto che “il conflitto tra destra e sinistra e’ stato sostituito da un altro: quello tra chi si candida a governare con queste regole, celebrato dai sacerdoti della governabilità o, per usare un’altra formula, della governamentalità, e chi fuori”. I rivoluzionari a 5 Stelle hanno fallito assieme ai populisti della Lega, dice ancora Bertinotti, perché “i due populismi, uno sedicente trasversale – e in parte lo e’ davvero – dei Cinque stelle e l’altro reazionario, quello della Lega, si sono messi insieme e hanno tratto legittimazione solo perche’ dicevano di fare il contrario dei governi precedenti. Programmi diversi, fisionomia diversa, personale politico diverso. L’unica cosa in comune era l’intenzione di voler cambiare tutto. Tant’e’ vero che per mesi e mesi a ogni critica della loro politica disastrosa o comunque inefficace la risposta era dare la colpa a quelli di prima. Anche loro insomma, come i riformisti dell’ultimo quarto di secolo – e lo dico per segnare la differenza con i riformisti d’antan – vengono sussunti al governo” e “i populisti, come i riformisti di oggi, di fronte al governo perdono la loro autonomia”. Conclusione? Per Bertinotti, dunque, era meglio il voto perché “le elezioni sono il terreno attraverso cui puoi avere l’ambizione di determinare la tua rinascita. Se sei ininfluente, devi trovare le parole per costruire coscienza e popolo. C’e’ il tempo della semina, non puoi sottrarti a un confronto che metta in luce anche le tue debolezze e le tue precarietà”.
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