“A volte mi sento discriminata, ma nonostante tutto non mi lamento. C’è chi sta peggio”: a dirlo è Elza, una giovane immigrata che nonostante sia in Italia da 13 anni e sia sposata con un italiano dal quale ha avuto due bambine non riesce ad avere la cittadinanza italiana: discriminata rispetto ai cittadini comunitari. La storia di Elza è uguale a quella di tanti altri, donne e uomini arrivati in Italia da paesi extracomunitari sperando in un futuro migliore. Lei di anni ne ha 37 è nata a Kazan, la sesta città per popolazione nella Federazione Russa, e vive in Italia dal 2006. È arrivata qui con la promessa e la speranza di un futuro migliore, subito dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria. Ambiva a diventare una guida turistica e invece si è trovata a pulire le stalle di un maneggio, per di più da clandestina, perché chi le aveva promesso il lavoro in Italia non aveva alcuna intenzione di metterla in regola. Cosí questa giovane donna russa ha lavorato circa diciotto ore al giorno, per anni, per soli 400 euro al mese. Col senno di poi si è accorta che era una paga misera, ma allora le sembrava uno stipendio da favola visto che era circa due volte quello medio del suo Paese.
Ma Elza non si è mai arresa alla fatica e a quel lavoro umile e sottopagato, col tempo ha trovato un lavoro migliore e dopo tanti sacrifici anche l’amore. Si è sposata con un ragazzo italiano e ha due bambine. La sua sembrerebbe la classica storia a lieto fine e in fondo lo è, ma c’è un però: Elza che oggi vive in provincia di Alessandria non ha ancora la cittadinanza italiana. Dopo un matrimonio, due figlie (nate in Italia) e una seconda laurea in Scienze Ambientali conseguita in Italia, non può ancora sentirsi italiana. Oggi è ostaggio di una burocrazia farraginosa, lunga e molto costosa, totalmente a carico degli immigrati. Per questo è costretta a rinnovare il permesso di soggiorno periodicamente a sue spese. Certo è il permesso lungo per motivi familiari, ma che comunque risulta di valore inferiore a quello concesso ai soggiornanti UE per lavoro o asilo politico. Tra le varie trafile burocratiche le sue due figlie hanno perso anche il bonus bebè, pur essendo cittadine italiane e lei non riesce a trovare finalmente una tranquillità emotiva, stabile, in un paese dove oramai vive da 13 anni e sente come suo: per lo Stato italiano è un’extracomunitaria. “A volte mi sento discriminata, nonostante oggi mi senta un po’ italiana” dice. Poi guarda il suo mondo familiare, quello che ha costruito con tanti sacrifici, guarda le sue bambine e con un sorriso amaro aggiunge: “Nonostante tutto non mi lamento. C’è chi sta peggio”.
Marcella Aliberti
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