Dal grano al pane il prezzo aumenta di quindici volte per effetto delle speculazioni e delle importazioni selvagge di prodotto dall’estero con pagnotte e panini spacciati come italiani all’insaputa dei consumatori. A denunciarlo, in una nota, e’ la Coldiretti in occasione della Giornata nazionale del grano italiano con la prima storica trebbiatura realizzata nel centro della capitale finanziaria d’Italia, al Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, da piazza del Cannone a piazza Castello, in occasione della fine della raccolta lungo tutta la Penisola. Oggi – sottolinea la Coldiretti – un chilo di grano tenero e’ venduto a circa 21 centesimi mentre un chilo di pane e’ acquistato dai cittadini a valori variabili attorno ai 3,1 euro al chilo, con un rincaro quindi di quindici volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito. Se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4 euro, a Bologna si arriva addirittura a 4,55 euro, ma a Napoli si scende fino a 1,91, mentre a Roma – continua Coldiretti – si viaggia sui 2,60 euro, a Palermo sui 2,85 euro e a Torino sui 3,05 euro. La forte variabilita’ da una citta’ all’altra e’ peraltro una evidente dimostrazione che l’andamento del prezzo del pane dipende solo marginalmente dal costo del grano, con le quotazioni dei prodotti agricoli ormai sempre meno legate all’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre piu’ ai movimenti finanziari e dalle strategie speculative. Il risultato è che gli agricoltori devono vendere ben 5 chili di grano per potersi pagare un caffè o una bottiglietta di acqua al bar. La situazione del grano italiano stretto tra speculazioni di filiera ed importazioni selvagge – denuncia la Coldiretti – è la punta dell’iceberg delle difficoltà che deve affrontare l’agricoltura italiana. Lo dimostra il fatto che per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi come frutta e verdura solo 22 centesimi arrivano al produttore agricolo ma il valore scende addirittura a 2 centesimi nel caso di quelli trasformati dai salumi fino ai formaggi, mentre il resto viene diviso tra l’industria di trasformazione e la distribuzione commerciale che assorbe la parte preponderante del valore secondo Ismea. “C’è sicuramente un margine da recuperare per garantire un giusto compenso agli agricoltori, senza pesare sui cittadini”, ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’impegno in atto “per realizzare rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti”.
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