Quello che occorre verificare non è la percentuale di principio attivo, ma l’idoneità “in concreto” a produrre un “effetto drogante”. Cosi’ le Sezioni Unite della Cassazione, fissano nelle motivazioni della sentenza emessa a fine maggio i limiti della legge 242 del 2016, a seguito della quale sono nati in tutta Italia migliaia di Cannabis shop. Si applica la legge sulle droghe in caso di vendita al pubblico di prodotti derivanti dalla Cannabis light, anche se l’olio, le inflorescenze e la resina presentano un Thc sotto lo 0,6%. “La commercializzazione al pubblico della Cannabis sativa light – scrivono le Sezioni Unite nel principio di diritto, fissato con la sentenza numero 30475 – e in particolare di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione di tale varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge 242 del 2016”, sulla filiera della canapa, “che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione delle varietà ammesse” ed “elenca tassativamente i derivati che possono essere commercializzati”, pertanto tutte le altre condotte rientrano nelle ipotesi punite dalla legge sulle droghe, “anche a fronte di un contenuto di thc inferiore ai valori indicati dalla legge 242”, che fissa il limite, appunto, dello 0,6%, “salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa”. Pertanto, “si impone – aggiunge la Cassazione – l’effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all’attitudine delle sostanza a produrre effetti psicotropi”, significa che “occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetti di cessione”.
Articolo pubblicato il giorno 11 Luglio 2019 - 12:38