La travagliata indagine sull’appalto piu’ importante dell’Expo 2015, quello sulla Piastra dei servizi, passata per uno scontro interno alla Procura cinque anni fa e poi presa in mano dalla Procura generale, finisce con la condanna di Giuseppe Sala, sindaco di Milano e imputato come ex commissario unico per l’Esposizione. Sei mesi, convertiti in una multa da 45mila euro, per falso per aver messo le firme, nel maggio 2012, su due verbali retrodatati che servirono a sostituire due commissari della gara, che erano incompatibili, e per evitare, secondo l’accusa, che tutta la procedura venisse annullata. “Assicuro i milanesi che restero’ a fare il sindaco per i due anni che restano del mio mandato. Di guardare avanti ora non me la sento”, e’ stata la reazione di Sala, presente e molto amareggiato dopo il verdetto dei giudici Guidi-Minerva-Valori che hanno assolto gli altri tre imputati, tra cui Angelo Paris, ex manager Expo accusato in concorso con Sala. Una sentenza che, ha detto l’ex ad Expo, “dopo sette anni, per un vizio di forma, allontanera’ tanta gente per bene dall’occuparsi della cosa pubblica. I sentimenti che ho sono negativi, qui e’ stato processato il lavoro e io ne ho fatto tanto”. Mentre il M5s ne ha chiesto le dimissioni, Sala ha incassato la solidarieta’ della sua Giunta, del Pd, con in testa il suo segretario, e anche Matteo Salvini ha detto di non essere “abituato a festeggiare le condanne altrui” e che “da milanese sono orgoglioso di come e’ stato gestito Expo”. Intanto, il sostituto pg Massimo Gaballo, che col collega Vincenzo Calia aveva chiesto 13 mesi per il primo cittadino, ha fatto notare che “questo processo e’ diventato cosi’ grande perche’ riguardava una persona importante, altrimenti per una persona qualunque sarebbe durato un quarto d’ora”. Dopo il conflitto nel 2014 tra l’allora procuratore Bruti Liberati e l’allora aggiunto Robledo, che lamentava uno stop alla sue indagini sull’Expo, l’inchiesta sulla Piastra era passata per una richiesta di archiviazione, respinta dal gip, arrivando fino all’avocazione della Procura generale, che iscrisse Sala nel registro degli indagati per quel falso segnalato gia’ dalla Gdf, ma non coltivato dai pm (altre due accuse contestate dai pg, turbativa e abuso d’ufficio, sono cadute). A Sala e’ stato contestato di aver falsificato i due verbali (firmati il 31 maggio, con data del 17) con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin li’ svolta” anche per il “ritardo” che si era accumulato sui “cronoprogrammi” dell’evento. Fino all’ultimo c’e’ stato un duro scontro tra il pg Gaballo, che ha parlato di “prova incontrovertibile della consapevolezza di Sala”, e i difensori Salvatore Scuto e Stefano Nespor che l’hanno esclusa, spiegando che il processo ha dimostrato che la retrodatazione e’ “rimasta orfana di genitore”. Il sindaco in aula disse di aver firmato dopo una “verifica sommaria”, fidandosi del controllo dei manager e dei tecnici della sua squadra. La sua responsabilita’ per falso (ideologico, par di capire) sulle firme dei verbali e’ stata riconosciuta dai giudici, che nelle motivazioni tra 90 giorni chiariranno quale parte dell’imputazione ha retto. Giudici che, ad ogni modo, come ha evidenziato il legale Scuto, gli hanno dovuto riconoscere l’attenuante dell’aver “agito per motivi di particolare valore morale o sociale”. Quando si arrivera’ al secondo grado, l’accusa sara’ gia’ prescritta, ma il sindaco avra’ la possibilita’ di rinunciare alla prescrizione.
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