Tredici spacciatori di cocaina arrestati e un giro d’ affari per 2.400 euro al giorno e quindi da 72mila euro al mese. Questo è quello che rendeva la piazza del Piano Napoli di via Passanti Scafati a Boscoreale gestita dalla famiglia del boss Carletto Padovani.E quanto scoperto dalla Compagnia carabinieri di Torre Annunziatahe hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale oplontino su richiesta della locale procura nei confronti di 13 indagati ritenuti responsabili di detenzione di stupefacenti a fini di spaccio. Centinaia le cessioni di droga documentate, prevalentemente di cocaina, che avvenivano nel rione popolare “Piano Napoli” di Boscoreale. Le consegne erano a domicilio, previa richiesta telefonica.
In carcere sono finiti Umberto, Giovanni e Gennaro Padovani, 24, 28 e 30 anni, ritenuti i capi del gruppo di spacciatori di cocaina, tutti imparentati con il boss “Carletto” Padovani, detenuto perché sta scontando una pena definitiva per traffico di stupefacenti. In cella anche Salvatore Russo, 39 anni, Giuseppe Borriello, 45, Gennaro Riccio, 31, Ivan Ranieri, 34, tutti residenti in via Passanti; e ancora Luigi Pecoraro, 43 anni, di Pompei; Giuseppe Faraco, 28, di Giugliano in Campania; Raimondo Caso, 42 anni, e Cesare Barbarito, 34, entrambi di Scafati. Ai domiciliari, invece, sono finiti Giuseppe Buono, 45enne di Boscoreale, i cugini Gennaro Rapuano (stesso nome, 25 e 21 anni), entrambi dei Quartieri Spagnoli; e Gaetano Padovani, il 23enne, più giovane della famiglia di pusher boschesi.
Nella maggior parte dei casi, le consegne di droga agli acquirenti venivano concordate al telefono, ma i pusher utilizzavano sempre utenze diverse, intestate a persone inesistenti.
Gli spacciatori si dirigevano poi nell’area vesuviana e nell’agro nocerino-sarnese, da dove venivano effettuate le richieste. Una cinquantina erano i clienti “fissi” che venivano contattati direttamente dagli spacciatori dopo il cambio di numero telefonico, che avveniva una volta a settimana. I Padovani vendevano “quasi esclusivamente cocaina, sempre con le stesse modalità e a prezzo fisso di 20 euro a dose”. I pusher utilizzavano un linguaggio cifrato a telefono per definire quantità e qualità dello stupefacente che doveva essere ceduto.
“Vieni ci possiamo prendere un caffè e porti un caffè” oppure “Tre caffè” . Era questo lo scambio che avveniva telefonicamente con i clienti. E tra questi anche un noto medico locale della guardia medica.
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