Cronaca Giudiziaria

Camorra, i pentiti raccontano il ruolo di ‘capo’ di Maria Licciardi

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Napoli. Da una settimana è una donna libera ma Maria Licciardi, alias “a’piccerella”,  si è guardata bene dal farsi vedere in giro  nonostante i fuochi d’artificio per ‘salutare’ l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare che l’aveva colpita nel maxi blitz “Cartagena” che ha disarticolato l’Alleanza di Secondigliano. Alla sorella di Gennaro Licciardi, alias “a’ scigna”, fondatore del clan che ha tutt’ora la propria roccaforte nella zona della “Masseria Cardone”, all’interno del quartiere Miano, è dedicato un intero capitolo delle oltre duemila pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Roberto D’Auria.

Maria Licciardi ha da sempre ricoperto un ruolo di prim’ordine, facendo parte del direttorio di entrambe le organizzazioni camorristiche, clan Licciardi e “Alleanza di Secondigliano”.
La figura di Maria “a’piccerella”, però, -spiega il gip- acquisisce maggiore spessore nel periodo immediatamente successivo all’arresto del fratello Pietro (attualmente detenuto, condannato alla pena dell’ergastolo), risalente al 7.6.1999, quando nasce l’esigenza di colmare la vacanza che si era creata in seno al direttorio delle organizzazioni criminali in esame; da qui l’ulteriore conferma di Maria Licciardi al vertice della compagine criminale al fianco del fratello Vincenzo. Più precisamente, in questo periodo Maria assume, unitamente al fratello Vincenzo “o’chiatt, al marito Antonio Teghemiè, detto “James” o “Tartufon”, e ad Edoardo Contini, la direzione dell’associazione camorristica denominata “Alleanza di Secondigliano”, circostanza che ha trovato conferma ufficiale nella Sentenza della IX sezione del Tribunale di Napoli, emessa in data 30.10.2007 (nr. 9100/07). Nella citata pronuncia, infatti, viene tra l’altro riportata una significativa conversazione intercettata nel carcere di Benevento tra la detenuta Licciardi Maria ed il marito Teghemiè Antonio (il quale – attesi gli arresti e le latitanze – all’inizio degli anni 2000 assunse le redini del clan, sotto la costante direzione della moglie), nella quale vengono toccati diversi rilevantissimi argomenti, tra cui l’esistenza di una distribuzione mensile di “paghe” da parte del clan Licciardi in favore degli affiliati, la corruzione del collaboratore Costantino Sarno operata in modo congiunto dall’Alleanza di Secondigliano; a testimonianza del fatto che Maria Licciardi, anche durante il periodo di detenzione ha di fatto mantenuto la posizione di vertice dell’organizzazione criminale facente capo alla sua famiglia. In data 14.6.2001, infatti, dopo ben due anni di latitanza nel corso dei quali viene ritenuta tra i trenta criminali più ricercati d’Italia, Maria Licciardi viene arrestata  da personale della Squadra Mobile di Napoli per i reati di associazione mafiosa, estorsione e riciclaggio. La stessa sarà poi scarcerata nel mese di dicembre 2009 e contestualmente sottoposta alla misura dell’Obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria. A seguito della scarcerazione, la donna torna ad assumere la piena guida del clan, con una indiscussa posizione di vertice; ascesa agevolata dall’arresto del fratello, Vincenzo “o’chiatt, nel mese di febbraio del 2008, ad opera di personale della Squadra Mobile di Napoli.
Come nella tradizione delle case regnanti, dunque, dopo la morte di Gennaro “a’ scigna” e l’arresto di Vincenzo “o’chiatt (tuttora detenuto in regime detentivo speciale ex art. 41 bis) Maria Licciardi succede definitivamente ai fratelli nella guida della compagine criminale “Alleanza di Secondigliano”, rimanendo tra l’altro l’unica rappresentante della famiglia Licciardi. Come ricordato nelle sue recentissime dichiarazioni dal collaboratore di giustizia Mario lo Russo, storico appartenente all’omonimo clan: “…Quando fu fondata l’Alleanza io ero detenuto; accanto ai boss storici quali Edoardo Contini, Patrizio Bosti, Ciccio Maliardo, Botta Salvatore, Egidio Annunziata, c’era mio fratello Giuseppe come componente e capo del clan Lo Russo. Per i Licciardi c’erano i fratelli Vincenzo, Pietro, Maria e i nipoti Pierino e Giovanni. Quelli che ho indicato erano capi e li conoscevo tutti di persona, sia perché ho abitalo nella Masseria Cardone e poi a Miano. sia per il mio inserimento criminale. Ne faceva parte anche Gennaro Sacco. La mia era una conoscenza per fatti criminali.
Sono stato in carcere dal ’91 al ’98; libero per un anno; poi dal ’99 al 2013 in carcere e libero fino a marzo 2014.
Negli ultimi anni il rapporto tra Bosti Patrizio, Ciccio Maliardo e Contini Edoardo erano rimasti sempre gli stessi, cioè sempre uniti. Bosti Ettore, mio genero avendo sposato mia figlia Filomena, mi raccontava degli incontri con gli zii per fatti criminali (per droga, estorsioni etc) che egli aveva sia con i Licciardi che con i Mallardo.
Per i Licciardi lui frequentava spesso Paolo Abbatiello e Peppe Vacca, che non so se è il soprannome o il cognome; in questo periodo i Licciardi erano diretti da Maria Licciardi, e Abbatiello era direttamente alle dipendenze di Maria Licciardi. Dunque anche in questo ultimo periodo, negli ultimi 5-6 anni Maria Licciardi era indiscutibilmente il capo del suo clan, riconosciuta da tutti in quanto tale, sia interni sia esterni; come erano sempre i capi indiscussi Contini Edoardo e Bosti Patrizio, che dal carcere continuano a comandare, direttamente e attraverso i figli, i quali “parlano “per i padri, o dando ordini diretti o trasmettendoli agli altri affiliati liberi …”. La funzione svolta da Maria Licciardi nonché il comune riconoscimento della stessa negli ambienti criminali trova pieno riscontro nella presente attività di indagine. Significativo è vedere come l’intermediazione della donna sia provvidenziale per Pasquale Rescigno, vittima di un “recupero” da parte di alcuni sodali. Essendo il predetto buon amico di un non meglio noto rampollo dei Licciardi, la donna si interessava all’intera vicenda definendo, direttamente con Giuseppe Ammendola, le condizioni per la restituzione del denaro.
Nella vicenda che vede coinvolto tale Carmine Ottaviano emergeva invece il ruolo di referente del sodalizio criminale di appartenenza; in tale circostanza, infatti, era lei che, interessata al recupero di una somma di denaro, chiedeva a Giuseppe Ammendola di intervenire per ottenere la restituzione del dovuto. Significativo ed indicativo è l’atteggiamento assunto dal referente del clan Contini, il quale non esitava ad autorizzare i suoi sodali all’uso di qualsiasi forma di violenza nei confronti dell’uomo per compiacere Maria Licciardi.


Articolo pubblicato il giorno 21 Luglio 2019 - 17:18

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