Nel pieno della bufera che attraversa la magistratura italiana a seguito dello scandalo nomine, l’Anm chiede, senza mezzi termini, le dimissioni dal Csm dei quattro togati coinvolti, anche se non penalmente, nell’inchiesta di Perugia.”L’autosospensione non basta”, sostiene il sindacato dei magistrati nella delibera approvata all’unanimità dal comitato direttivo, “rassegnino le loro immediate dimissioni dall’incarico istituzionale per il quale, evidentemente, non appaiono degni”.I consiglieri in questione giudicano la richiesta “priva di fondamento e basata solo su articoli di stampa”, ma, secondo l’Anm, dall’indagine di Perugia emergono “gravissime violazioni di natura etica e deontologica”, “mai smentite dai diretti interessati”. Nella delibera si fa riferimento agli “incontri, avvenuti al di fuori della sede istituzionale del consiglio e aventi ad oggetto anche la nomina dei procuratori di Roma e Perugia, ai quali hanno partecipato consiglieri in carica, due deputati, uno dei quali magistrato in aspettativa e l’altro imputato nell’ambito di un procedimento trattato dalla Procura della Repubblica di Roma ed un ex consigliere, aspirante all’incarico semidirettivo di procuratore aggiunto di Roma e indagato dalla procura di Perugia”.Quella che attraversa la magistratura rischia di essere una crisi senza ritorno, e per questo il sindacato delle toghe sceglie la linea dura, che passa anche per il deferimento al collegio dei probiviri di tutti gli iscritti coinvolti, sottolineando la necessità, non più rinviabile, di un’autoriforma, per la quale il percorso di inizio è fissato al 14 settembre, giorno dell’assemblea generale, convocata nell’Aula magna della Cassazione.Intanto segnali, timidi, arrivano da Palazzo Marescialli dove i consiglieri togati rimasti fanno sapere che rinunceranno per un anno, a fine mandato, a candidarsi a ruoli diversi da quelli ricoperti prima di entrare in Csm. Manifestano “l’intenzione di autovincolarsi alla disciplina sul rientro dei consiglieri vigente prima della riforma attuata dalla legge 205 del 2017” che aveva permesso al pm di Roma, Luca Palamara, di candidarsi, subito dopo la consiliatura in Csm, a un posto da procuratore aggiunto.Il mare in tempesta del potere giudiziario agita anche le acque della politica, soprattutto nel Pd, con l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, oggi europarlamentare dem, che chiede al partito “di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti nella vicenda”.Mentre vanno avanti le indagini a Perugia, in tutti i luoghi della giustizia, e non solo, è palpabile la preoccupazione per una crisi che ha pochi precedenti e mina la credibilità di tutta la magistratura, gettando ombre senza che sia ancora chiara una possibile strategia di uscita.
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