Napoli. Fa parte del “gruppo di fuoco del clan Cutolo” questa, in estrema sintesi, era il senso delle dichiarazioni dei quattro collaboratori di giustizia (Sartore Alfredo, Ferraiolo Maurizio, Quindici Emilio e Maggio Salvatore) attraverso le quali gli inquirenti ritenevano di poter inchiodare alla sbarra Antonio D’ Angelo, arrestato nell’ambito del blitz che, circa 20 giorni fa, portò in carcere 21 persone ritenute affiliate alla consorteria criminale operante nella parte ” bassa” della zona del rione Traiano di Napoli. Del resto, così come evidenziato anche dal G.I.P. che emise i provvedimenti cautelari, le dichiarazioni dei collaboratori non solo si riscontravano l’una con l’ altra rispetto ai fatti criminosi raccontati, ma, la lunga attività di indagine posta in essere dal comando provinciale dei carabinieri su delega della direzione distrettuale antimafia, aveva fornito diversi ulteriori elementi rappresentati soprattutto da intercettazioni telefoniche ed ambientali che, nel caso del D’Angelo sembravano addirittura essere dimostrative della sua partecipazione ad un tentato omicidio posto in essere, da quest’ultimo, nell’interesse del clan. Di diverso avviso invece, in ordine alla valutazione del materiale indiziario, il tribunale del riesame di Napoli, 10ecima sezione, che, in accoglimento del ricorso presentato dall’ avvocato Marco Bernardo, ha completamente annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa carico dell’ indagato rimettendolo in libertà. Determinante per l’esito favorevole del giudizio è stata la produzione documentale effettuata dall’avvocato Bernardo nel corso dell’udienza con la quale, facendo riferimento ad altri verbali di collaboratori non depositati dal P.M. nel procedimento, ma conosciuti dal legale perché presenti in altri processi, quest’ultimo è riuscito a dimostrare l’inattendibilità dei collaboratori. Il tribunale del riesame preso atto di questo contrasto tra le diverse dichiarazioni dei pentiti, alla luce anche del contenuto delle intercettazioni che, a ben vedere, erano molto meno chiare di quanto ad una prima lettura potesse sembrare, non ha potuto che annullare per mancanza dei gravi indizi l’ordinanza l ordinanza cautelare scarcerando l’indagato.
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