Ferdinando Varlese, l’imprenditore arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulle infiltrazione della camorra nei cantieri del ponte Morandi, si stava riorganizzando con i figli per rimettere insieme una nuova società dopo l’ interdittiva antimafia. Varlese ne parla prima con la figlia: “…ora adesso sistemiamo questa cosa…poi ci prendiamo un caffè…ragioniamo un attimo …allora prendi e gestisci tu…gestisci tu…attraverso…per esempio che ti devo dire…Ramona…staa.. .Eleonora…ee…sto cugino di Eleonora…e si va avanti…io ci sono sempre…” Poi parla con il figlio: “…stiamo cercando di mettere un pò queste cose a posto qua e di rinnovare tutto come siamo rimasti d’accordo…”…”…vediamo di fare tutto ex novo ha capito o no…diciamo…con Marco amministratore nuovo”… “mo cerchiamo di andare avanti poi fammi mettere a posto un pò le situazioni perché anche qua diciamo magari devo mettere ancora altre situazioni pure a posto…ha capito com’é…poi ti faccio sapere…poi ti ho detto facciamo una società nuova eee..iniziamo ok?”. L’imprenditore è legato al clan D’Amico in lotta con il clan Rinaldi per il controllo del Rione Villa. Dopo l’interdittiva antimafia ricevuta dal prefetto di Genova, Ferdinando Varlese, l’imprenditore arrestato nell’ambito dell’inchiesta nata dopo i controlli antimafia sui cantieri del ponte Morandi, stava formando una nuova compagine sociale per continuare a lavorare nello stesso settore. La nuova società sarebbe stata intestata a parenti e persone fidate. Secondo gli investigatori, Consiglia Marigliano (consuocera di Varlese, ai domiciliari), era un “cosciente schermo” delle attività dell’uomo, era consapevole di fare da prestanome. Dopo i controlli amministrativi, la procura aveva anche aperto una inchiesta per estorsione nei confronti sempre di Varlese. L’indagine era finalizzata a capire se lo stesso avesse fatto pressioni alla Omini, la ditta appaltatrice capofila degli appaltatori, per ottenere i lavori. Dall’inchiesta non sono emerse pressioni e la procura ha chiesto l’archiviazione.
L’effettivo amministratore della ‘Tecnodem srl’ di Napoli, l’impresa impegnata nella ricostruzione del ponte Morandi, arrestato oggi dalla Dia nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Genovaera già stato condannato per associazione a delinquere ed estorsione tentata in concorso. In quel procedimento erano coinvolti affiliati al clan Misso-Mazzarella-Sarno, appartenenti all’organizzazione camorrista ‘Nuova Famiglia’, con l’aggravante di aver commesso il fatto con modalità mafiose. In un altro procedimento sarebbero emersi rapporti dell’amministratore arrestato, residente a Rapallo, con il clan camorristico D’Amico, a cui risulta legato da stretti rapporti di parentela. Le indagini, delegate dalla Dda della procura di Genova al locale Centro operativo Dia, procedendo sin dall’inizio dei lavori di demolizione parallelamente agli accertamenti amministrativi, hanno consentito – si legge in una nota della Dia – di raccogliere “prove sull’operato dei due arrestati che, agendo in concorso tra loro e previo accordo, al fine di eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali, hanno attribuito fittiziamente alla donna la titolarità formale della ‘Tecnodem Srl’, quale unica socia, amministratrice e rappresentante, mantenendo invece in capo all’uomo la titolarità effettiva della stessa”. E’ stata contestata dalla procura distrettuale di Genova e riconosciuta dal gip “la circostanza aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan camorristico D’Amico del Rione Villa di Napoli”. Le indagini sono partite sin dall’inizio dei lavori di demolizione del Morandi, parallelamente agli accertamenti amministrativi, consentendo di raccogliere prove sull’operato dei due arrestati di oggi che, agendo in concorso tra loro e previo accordo, per eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali hanno attribuito fittiziamente alla donna la titolarità formale della Tecnodem Srl come unica socia, amministratrice e rappresentante, e mantenendo invece in capo all uomo la titolarità effettiva, integrando così il reato di trasferimento fraudolento di valori. E’ stata contestata dalla Procura Distrettuale di Genova e riconosciuta dal gip la circostanza aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan camorristico ‘D’Amico’ del Rione Villa di Napoli. Dalle indagini è emerso il disegno studiato dai due che prevedeva quindi la donna come ‘cosciente schermo’ delle attività dell’uomo. Dopo che la società era stata estromessa dal subappalto inerente i lavori di demolizione del ponte Morandi si era già attivato per formare quanto prima una nuova società composta da congiunti o persone fidate per continuare a proporsi nello stesso settore.
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