“Diglielo sono la nipote di Angelo… mi devo fare l’emocromo”: ospedale usato come un centro di ‘famiglia’ quella malavitosa del clan Contini. Il San Giovanni Bosco era l’ospedale di riferimento della cosca dell’Alleanza di Secondigliano, a due passi dal ‘Rione amicizia’ dove i Contini avevano tutto sotto controllo. Esami diagnostici, visite specialistiche, la gestione dei ‘morti’ e delle ambulanze, i parcheggi, le pulizie e finanche i sindacalisti e i vertici amministrativi: tutto era sotto controllo. Con ‘infermieri’ – così vengono chiamati i referenti della cosca che lavorano come portantini o nella ditta di pulizie – pronti a far fronte ad ogni emergenza. Il centro di prenotazione ‘privato’ per aggirare lunghe liste di attesa e il pagamento delle prestazioni non urgente era affidato ad Angelo Botta, dipendente della ditta di pulizie, spesso veicolato dal nipote Vincenzo ‘il nano’, titolare di una rosticceria nel Rione amicizia, entrambi arrestati nel blitz di oggi. Dal pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni Bosco uscivano finanche certificati medici fasulli per mettere a segno truffe assicurative, con la compiacenza di alcuni medici al ‘servizio’ del clan. Ma nella legge della criminalità i cosiddetti ‘piaceri’ erano reciproci. Alla bisogna – emerge dalle intercettazioni telefoniche – i medici del pronto soccorso chiedevano l’aiuto del ras del quartiere quando si sentivano minacciati e in pericolo da parenti di degenti o da utenti ‘arrabbiati’. Gli esponenti del clan Contini e Botta, secondo quanto emerge dall’ordinanza, hanno anche un “illegittimo accesso anche ai farmaci dell’ospedale”. Botta si mette a disposizione quando si tratta di recuperare medicine presenti nella struttura ospedaliera. Quanto emerso nelle indagini ha trovato ‘perfetta corrispondenza’ come scrive il gip nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, con un controllo economico e gestionale – il bar e il ristorante erano gestiti dal clan Contini – della struttura ospedaliera inclusa nel Rione amicizia. Ma vie è di più. I pentiti parlano di una vera e propria spartizione degli ospedali napoletani, in mano ai diversi clan che si sono spartiti il territorio. Il pentito Mario Lo Russo parla di una vera e propria spartizione: “L’ospedale San Giovanni Bosco è in mano ai Contini, come impresa di pulizia, forniture, lavanderia; come lo facevamo noi nelle nostre zone, al Policlinico, e Cimmino ai Cardarelli, così lo facevano loro nelle loro zone; già tanti anni fa avvenne questa divisione degli ospedali tra i clan, secondo il controllo territoriale camorristico. Se noi avevamo bisogno di qualcosa dal San Giovanni Bosco bastava chiamare Ettore Bosti e lui chiamava chi di dovere e tutti si mettevano a disposizione … “.
Per quanto riguarda l’ospedale del Rione amicizia, Teodoro e Giuseppe De Rosa, già esponenti del clan Contini, vicini ai capi con ruoli di elevata fiducia e gestori del bar e del ristorante del San Giovanni tracciano con le loro dichiarazioni – scrive il gip – “una desolante mappa di controllo camorristico del nosocomio pubblico, che va dall’utilizzo del medesimo come luogo di incontri mafiosi o di ricezione di pagamenti usurari ed estorsivi, al controllo delle visite mediche e degli interventi chirurgici, con la compiacenza o la sottomissione del personale, in violazione di qualsivoglia regola interna; dai favoritismi illeciti al clan per false perizie o falsi referti al controllo del clan sulle ditte esterne appaltatrici di servizi vari, primo dei quali quello di pulizia”. Dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giuseppe De Rosa emerge che uno dei sodali all’Alleanza, ad esempio, era un “portantino dell’ospedale San Giovanni Bosco” che gestiva le “aperture di reparti” oppure “interveniva sui sindacati”. Avvenivano inoltre “assunzioni solo formali” nella ditta delle pulizie per avere “un legame” tra il clan e l’ospedale e non certo per fare le pulizie. Un collaboratore di giustizia, addetto alle pulizie, ha raccontato che il titolare della ditta faceva capo a lui per “le relazioni con il clan Contini e tutto ciò che serviva a tenere buoni rapporti tra il clan e la vita dell’ospedale. La mano del clan era in tutta la vita dell’ospedale”.
“I direttori sanitari – riferiva Teodoro De Rosa – sono sempre stati a disposizione del clan perché altrimenti rischiavano… e anche i medici e l’ufficio amministrativo”. In particolare erano presenti medici nel nosocomio che “hanno prestato la propria opera per feriti da arma da fuoco del clan che non dovevano passare in ospedale”. “Si tratta di un do ut des in cui da parte del clan è assicurata protezione, anche fisica, a coloro che ne facciano richiesta – scrive il Gip – ricevendone in cambio la messa a disposizione (in favore di membri del sodalizio) di strutture e professionalità, accessibili secondo canali privilegiati e non istituzionali, certamente non consentiti alla collettività generalmente considerata”.
Rosaria Federico
Articolo pubblicato il giorno 26 Giugno 2019 - 22:12