Ospedali gestiti dai clan bypassando le liste di attesa o gestendo il personale e le attività di ristorazione: i particolari emersi dall’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di 126 presunti affiliati all’Alleanza di Secondigliano sono stati oggetto di discussione nel Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica dedicato alla Campania. “Sono state analizzate fra le altre cose la presenza camorristica all’interno degli ospedali (con interventi di conseguenza) e nella gestione dei rifiuti, le criticità nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano, compreso l’uso illegale di telefonini dei carcerati”. Dicono fonti del Viminale. Il ‘Cup’ (Centro unico di prenotazione) gestito dagli uomini del clan Contini, nella fattispecie da Angelo (fratello del boss Salvatore) e Vincenzo Botta, ‘o nano nipote del boss nell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, è un particolare che sconvolge, se non altro per la facilità con la quale criminalità gestiva con la complicità di chi vi lavorava un servizio pubblico. Il Gip Roberto D’Auria che ha firmato l’ordinanza contro gli affiliati dell’Alleanza di Secondigliano (i clan Contini, Mallardo e Licciardi) censura oltre ai comportamenti degli indagati, molti dei quali arrestati, anche chi è stato con loro connivente.
I Botta – secondo quanto emerso dalle intercettazioni – gestivano anche la priorità per le visite, per i loro parenti (una delle quali è proprio Raffaella, la figlia di Salvatore Botta e riesce ad ottenere rapidamente un appuntamento con un medico in servizio al San Giovanni) e non solo. Sono i Botta a dettare i tempi delle visite: ” … per giovedì, mi vuoi far prendere un appuntamento da (ndr)i! … ” dice Raffaella allo zio. L’indomani la donna è già in ospedale per gli esami riuscendo a bypassare l’ordinaria routine di prenotazione e pagamento della prestazione.
“Non vi sono dubbi che l’accesso a prestazioni sanitarie specialistiche avvenga seguendo canali non istituzionali e certamente privilegiati – scrive il Gip – com’è dato dedurre dalla seguente conversazione telefonica, nel corso della quale una donna, tale “Assunta” telefona ad Angelo Botta evidentemente accreditato in pubblico come una sorta di centro di prenotazioni per “VIP”, chiedendogli di poter eseguire analisi cliniche presso l’ospedale
S. Giovanni Bosco “… senti, se vado sotto all’ospedale a nome tuo e mi faccio fare una BETA, me lo fanno? … “. Il risultato è il medesimo di quello ottenuto da Raffaella Botta ” … eh, diglielo … sono la nipote di Angelo … “. Le stesse circostanze di “prenotazioni facili”, si riscontrano anche in occasione di una conversazione telefonica intercettata nella quale una donna (particolarmente vicina dal punto di vista affaristico-criminale a Botta Salvatore) chiede di poter effettuare una risonanza magnetica ottenendo di potersi recare presso la struttura pubblica accompagnata da Angelo.
Dall’attività investigativa, documentata nell’ordinanza, emergono un numero impressionante di interventi del clan sulle tutte le attività del san Giovanni Bosco. I Contini controllavano le relazioni sindacali, potevano anche ostacolare le decisioni dei manager, imporre assunzioni, ottenere certificati falsi, per esempio, per le truffe assicurative, e anche il sostegno di alcuni medici (compiacente o meno) per far medicare gli affiliati del clan feriti in conflitti a fuoco senza che la cosa trapelasse. In quell’ospedale il clan sostituiva addirittura alle forze dell’ordine: in una intercettazione registrata alle 21,08 del 3 febbraio 2013 un medico, minacciato da due energumeni, invece di chiedere aiuto alla Polizia o ai Carabinieri, telefona a Vincenzo Botta ‘ nano che chiama lo zio Angelo (risultato, peraltro, anche dipendente di una ditta di pulizie che lavora nell’ospedale) al quale dice: “o’ zi’…ti vuole (il medico, ndr)…eh! Mi ha chiamato a me…ha detto fai venire un attimo a tuo zio…stavano due di loro che lo volevano picchiare!…”. L’intervento della famiglia Botta è determinante per evitare il pestaggio del medico da parte di due energumeni “…Tutto a posto!”.
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