Emerge anche la triste storia di un avvocato civilista con sede in via Chiatamone a Napoli che accetta di riciclare i soldi del clan Contini e alla fine si toglie la vita dalle indagini sull’Alleanza di Secondigliano a cui ieri magistratura e forze dell’ordine hanno assestato un duro colpo. La vicenda si conclude con il suicidio del civilista, avvenuto nel 2014, dopo reiterate minacce da parte della camorra. Il professionista si era reso disponibile a riciclare una ingente somma nella disponibilità di Ciro Di Carluccio (destinatario di una misura cautelare) nel settore immobiliare. Dopo avere preso i soldi, il professionista, invece di usarli per gli investimenti promessi, li spende tutti per altro, scatenando l’ira di Di Carluccio che, attraverso uno dei suoi uomini, inizia a fare pressioni fino a minacciare di morte sia l’avvocato che il figlio, ora 17enne. Prima gli fa arrivare una lettera dal carcere nella quale gli chiede 10mila euro al mese per il sostentamento della sua famiglia poi arrivano una serie di drammatiche telefonate, tra l’avvocato e una delle persone delegate a recuperare le somme, risalenti all’ottobre del 2013, emergono le pressioni e anche il cinismo del clan: “ho lo sfratto da sette mesi per morosità…sfratto per morosità di casa mia … sono sette mesi che non pago i fitti di casa per di riuscire a tenere avanti lo studio per portare avanti quella merda di cosa per riuscire a portare avanti tutto! sette mesi, !.sette mesi!! .. I miei figli non gli ho comprato le scarpette di calcio per far fare le partite di calcio perché non avevo soldi e non ho potuto più chiedere niente ai miei fratelli … che mi hanno dato tutto quello che potevano.. tutto l’aiuto di questo mondo. io sto tirando avanti la vita soltanto per il lavoro … lo studio … per riuscire a risolvere .. L’ingegner …. altri due mesi, mi farà l’azione esecutiva e caccerà i miei figli da casa!! Io non so più… non le voglio raccontare queste cose!! E devono morire tutti e due i miei figli di cancro, ..mi sono venduto la catenina e il braccialetto per pagare l’Enel…se uno mi vuole uccidere, mi uccide…però non minacciare i miei figli perche’ sto impazzendo…”. L’avvocato aveva avuto mandato di investire i soldi di Francesco Esposito, Carlo Piscopo e Ciro Di Carluccio in operazioni mobiliari ed immobiliari. Al professionista erano state affidate cifre enormi e questi le aveva di fatto sottratte alla destinazione originaria, causando un ammanco nelle casse dei finanziatori. Successivamente nel corso di una perquisizione a casa di Piscopo fu trovata una missiva risalente al 2012 con carta intestata dello “Studio Legale omissis”, indirizzata a Ciro Di carluccio ed a firma dell’avvocato omissis, nella quale il professionista implorava perdono per aver “utilizzato in modo arbitrario le somme che mi ha fatto pervenire tramite il comune amico Carlo Piscopo destinate ad un’operazione commerciale, e, cosa più grave, anche le somme ugualmente ricevute per conto di sua nuora, signora omissis per saldare una transazione con la BNL.
La missiva, datata 10 settembre 2012 retrodatava, quindi, nel tempo l’origine dei rapporti tra il legale, Carlo Piscopo e Ciro Di Carluccio confermava quanto emerso dalle intercettazioni circa il fatto che la somma fosse stata distratta dalla sua destinazione originaria e che il legale stesse cercando, senza riuscirci, di risolvere la situazione. In particolare, relativamente ali’ “operazione commerciale” indicata nella missiva. Il legale, infatti, scriveva che non essendo riuscito a rispettare i termini prescritti per portare a termine le operazioni ed avendo irrimediabilmente distratto il denaro ricevuto era “fuggito da Napoli per il “timore di subire una punizione troppo grave” e, cosa ancor più grave, chiedeva al DI Carluccio il “permesso” di poter tornare, al fine di riprendere in mano le sue attività e di rimediare alla difficile situazione. Alla fine, preso dalla disperazione, nei primi mesi del 2014, si suicida.
Rosaria Federico
Articolo pubblicato il giorno 27 Giugno 2019 - 17:18