“Non è certo l’alto numero di detenuti nelle carceri della Campania (7.884) secondo il Rapporto di Antigone il problema centrale dell’emergenza che vive da troppi anni il sistema penitenziario campano ed italiano ma piuttosto chi “comanda” nelle celle. Nelle carceri italiane i nigeriani affiliati alle quattro grandi cosche africane, conosciute anche come Cult -Eiye, Black Axe, Viking e Mefite – hanno sopraffatto le organizzazioni mafiose e criminali storiche italiane nel controllo dei detenuti”. L’allarme viene da Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria, riferendo che al 30 aprile scorso negli istituti di pena del Paese sono detenuti 1.607 nigeriani di cui 982 sono imputati e 625 sono condannati, che rappresentano quasi l’8% della popolazione carceraria straniera, con un incremento significativo di anno in anno (nel 2017 erano poco più del 5%). Nel 2017, secondo dati più recenti, su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.
Da mesi abbiamo lanciato sollecitato il Ministero di Grazia e Giustizia e l’Amministrazione Penitenziaria a non sottovalutare la crescente pericolosità della mafia nigeriana nelle carceri, nei Centri di Accoglienza per richiedenti asilo dove – aggiunge Di Giacomo – avvengono l’affiliazione o il reclutamento delle cosche africane.
Quanto alla pericolosità delle quattro grandi cosche africane, allo sfruttamento della prostituzione e al traffico di droga vanno ad aggiungersi altri reati “esotici”: tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù. Leggere dai giornali di indagini su donne e bambini “squartati” per sacrifici e riti magici, di reni ed organi espianti da bambini o donne rapiti, provoca profonda indignazione che intendiamo accompagnare con iniziative di mobilitazione popolare e protesta. Le ramificazioni criminali da Castel Volturno, diventata una “enclave” della mafia nigeriana dove tutto è consentito – continua il segretario del Sindacato Penitenziari – arrivano in tutti i più piccoli centri delle province italiane. E non vorremmo che dopo le numerose operazioni delle forze dell’ordine la “base operativa” sia stata decentrata altrove.
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