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La cricca dei permessi di soggiorno: ‘mozzarelle’ e ‘pasta e faglioli’. Residenze anche al cimitero di S. Maria del Pianto

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I permessi di soggiorno falsi erano ‘mozzarelle’ o ‘pasta e fagioli’: un linguaggio criptico utilizzato dai componenti dell’organizzazione sgominata stamane dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia con l’arresto di sette persone tra le quali anche dei poliziotti. Nell’ordinanza del Gip di Napoli, Marco Carbone, sono inserite numerose intercettazioni telefoniche tra gli indagati nel quale viene utilizzato un linguaggio criptico per evitare che gli investigatori scoprissero il giro di falsificazione e corruzione per le pratiche irregolari all’ufficio immigrazione della Questura di Napoli. “Sono arrivate le mozzarelle di bufala”. “Nel pomeriggio c’è la pasta e fagioli” diceva Luigi Guerriero, uno dei capi e promotori della banda. E dall’altra parte un tale Giò chiedeva: “già li stai facendo?”, “Sì sì, li ho messi sul fuoco, per oggi la pasta è pronta”. Le chiamate erano continue, segno del giro di corruzione e affari che avevano messo in atto e degli ampi margini di guadagno che avevano. A Giò, che aveva solo il compito di ritirare le pratica, venivano dati in cambio buoni pasto o buoni benzina. Secondo il Gip di Napoli Marco Carbone c’è stata “una gestione scellerata e criminale delle istanze di rilascio o rinnovo di permesso di soggiorno presentate negli anni 2017 e 2018 all’ufficio immigrazioni della questura. Diventate oggetto di mercimonio costante, evase al di la di qualsivoglia sostanziale controllo, almeno quando si trattava di perseguire gli interessi economici di un gruppo criminale”. A fare da supporto era l’ex ispettore Vincenzo Spinosa che tesseva le file degli accordi “dell’associazione a delinquere, fungendo da raccordo tra i funzionari di polizia corrotti, i dipendenti dell’ufficio e un manipolo di intermediari per lo più cittadini stranieri in contatto con connazionali all’estero che volevano arrivare in Italia”. Un gruppo “criminale che dietro remunerazione (dai 50 ai 3mila euro i pagamenti per una pratica, ndr) si preoccupava sia di fornire informazioni agli stranieri sia a dare loro il permesso che veniva negato se non versavano i soldi”.
Secondo gli inquirenti la banda avrebbe fornito certificati di residenza fittizi a circa 330 extracomunitari richiedenti il permesso di soggiorno, allocandoli però nel cimitero napoletano di Santa Maria del Pianto. A rifornire i richiedenti di certificati fasulli è stato uno degli arrestati, Faycal Kheirallah, avvalendosi di un referente della pubblica amministrazione. Secondo quanto accertato dal Gico della GdF e dalla Squadra Mobile, la banda si comportava come una vera e propria “agenzia di servizi”. Mounir Grine, per esempio, anche lui tra gli arrestati, si interfacciava con la componente italiana della banda e, anche avvalendosi di tre collaboratori, avvisava i richiedenti residenti all’estero dell’imminenza dei controlli per la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese. “Abbiamo fatto entrare una nazione intera…”: è la frase pronunciata da uno degli indagati che così esultava dopo aver fatto ottenere a un suo congiunto il rilascio del permesso di soggiorno. Determinante, per gli affari della banda, infine, è risultato il ruolo ricoperto dagli altri due ex agenti indagati.
La guardia di finanza e la polizia di Napoli ha sgominato l’organizzazione che si occupava di far ottenere permessi di soggiorno a immigrati che non avevano i requisiti. Ai sette arrestati vengono contestate le accuse di associazione per delinquere dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e alla corruzione. L’indagine è stata condotta dalla Direzione distrettuale antimafia e, oltre agli arresti, ha portato anche a numerose perquisizioni domiciliari nei confronti degli arrestati e di altre nove persone, coinvolte a vario titolo nelle attività illecite. In tutto sono 16 gli indagati. Ai vertici dell’organizzazione, che otteneva ingenti guadagni facendosi pagare dagli immigrati secondo una sorta di ‘tariffario’, c’era l’ex ispettore Spinosa, già in servizio presso l’Ufficio immigrazione, oggi in pensione: l’uomo sovrintendeva e coordinava l’intera filiera dei ‘servizi’ offerti alla clientela. In cella nel carcere di Santa Maria Capua Vetere anche un poliziotto di Capua, Flavio Scagliola. L’agente, in servizio presso la Questura di Napoli all’ufficio immigrazione, al quale è stato imposto il divieto di colloquio con i propri legali in attesa dell’interrogatorio di garanzia è accusato di aver favorito l’immigrazione clandestina.

L’indagine è partita nel giugno del 2016 dalla segnalazione al Gico della guardia di finanza di un’operazione sospetta, riguardante un algerino residente a Napoli, che aveva effettuato, attraverso agenzie di money transfer, diverse movimentazioni di denaro con altri Paesi dell’Unione europea (tra cui Francia e Belgio), per importi al di sotto dei mille euro, ritenute potenzialmente riconducibili a contesti di terrorismo islamico. Tra i destinatari di queste rimesse di denaro figurava, infatti, un altro algerino, residente in Belgio, che avrebbe avuto stretti legami con il militante jihadista Abdelhamid Abaaoud, sospettato di essere uno degli organizzatori degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, e che venne ucciso in un’operazione della polizia francese cinque giorni dopo. A quel punto, dell’algerino ha iniziato a occuparsi il pool antiterrorismo della procura di Napoli che, pur non trovando riscontri su un eventuale sostegno al terrorismo, ha invece scoperto l’esistenza di un network criminale specializzato nell’ottenere indebitamente il rilascio o il rinnovo di permessi di soggiorno a favore di extracomunitari, molto spesso privi dei necessari requisiti di legge, grazie a documenti ottenuti illegalmente. In sostanza, l’associazione gestiva e controllava l’intera filiera burocratica della concessione dei permessi: dal reperimento dei ‘clienti’, alla predisposizione delle istanze, ai contatti con l’Ufficio immigrazione della questura, fino alla consegna dei documenti ai richiedenti, cui seguiva la riscossione dei compensi dovuti, sulla base di un vero e proprio ‘tariffario’, compreso fra i 50 euro per una semplice informazione sullo stato della pratica e i 3mila necessari per ‘aggiustare’ il conseguimento dei permessi di soggiorno. I casi accertati di permessi di soggiorno ottenuti indebitamente con questo sistema sono 136, ma, sottolineano gli inquirenti, potrebbero essere molti di più.


Articolo pubblicato il giorno 23 Maggio 2019 - 22:46
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