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Giudici arrestati a Salerno, ‘mozzarelle’ per soddisfare la ‘fame di soldi’: ecco come funzionava alla Tributaria

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Salerno. ‘Fame di soldi’ e linguaggio in codice: ecco il sistema organizzato da due giudici della commissione Tributaria di Salerno per pilotare cause ed evitare a noti imprenditori il pagamento di milioni di euro. Il sistema svelato dagli uomini della Guardia di Finanza, coordinati dai sostituti procuratori Elena Guarino e Luigi Lucio Caccavale ha portato stamane a 14 arresti, due giudici della commissione tributaria F. S. e G.D.C, due dipendenti amministrativi, sei imprenditori e quattro consulenti fiscali, tutti incensurati, con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. “Una fame di denaro tale da rinviare un delicatissimo intervento chirurgico” pur di non mancare in udienza per decidere una causa che si doveva ‘pilotare’. Durissimo il Gip di Salerno, Pietro Indinnimeo, nell’ordinanza notificata stamane, nel descrivere la condotta di uno dei due giudici arrestati. Un’ordinanza emessa dal gip in “tempi rapidissimi”, ha sottolineato in conferenza stampa il procuratore capo facente funzioni di Salerno, Luca Masini, per una “indagine che ha consentito di disvelare un sistema corruttivo pericolosissimo e dannosissimo per lo Stato”. L’indagine “rappresenta solo la punta di un iceberg”, scrive ancora il gip, e per il procuratore aggiunto di Salerno, Luigi Alberto Cannavale, c’è la “tristezza il dover colpire chi ha messo una funzione di giustizia per interessi personali”. Masini sottolinea che la procura della Repubblica “ha dovuto necessariamente, per interrompere le attività criminose, depositare e concludere anzitempo le indagini perché le fattispecie corruttive erano via via programmate quotidianamente di giorno in giorno”. Nell’ordinanza, inoltre, si fa riferimento, ha detto il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Salerno, generale Danilo Petrucelli, “alla sera del 23 novembre del 2018. Quella sera, dopo una sentenza, i due impiegati erano a cena al ristorante con l’amministratore delegato di un’azienda per festeggiare”. Il passaggio di denaro avveniva sempre in contanti, il giorno prima della decisione della commissione Tributaria ed in luoghi particolari, quali l’ascensore della commissione. Gli importi pagati ai due giudici per ottenere le sentenze favorevoli oscillavano tra i 5 e i 30 mila euro. Allo stato, sono state individuate dieci procedure il cui iter é stato condizionato dalla corruzione. Complessivamente, da una prima stima, le imposte evase, gli interessi maturati e le sanzioni amministrative annullate con le decisioni condizionate dalla corruzione ammontano a circa 15 milioni di euro. Una società di Siano, ad esempio, ha ottenuto, tramite la corruzione, la cancellazione di un debito di oltre otto milioni di euro; per un’altra, di Salerno, invece, la somma contestata ed annullata raggiungeva quasi il milione di euro. Oltre ai provvedimenti cautelari sono state eseguite perquisizioni anche negli uffici della Commissione Tributaria e nelle abitazioni e negli studi di altri professionisti indagati la cui posizione e in corso di valutazione. Ad uno dei due dipendenti della Commissione Tributaria, sono stati rinvenuti e sequestrati oltre 50 mila euro in contanti. Gli imprenditori erano tutti del Salernitano, tranne uno dell’Avellinese.
Gli indagati secondo quanto accertato dagli inquirenti utilizzavano un linguaggio in codice. I ricorsi tributari da ‘aggiustare’ diventavano “comprare una macchina”, invece, il denaro prezzo della corruzione “mozzarelle”.


Articolo pubblicato il giorno 15 Maggio 2019 - 16:47

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