Cronaca Giudiziaria

Fece uccidere due testimoni di una strage: processo per il boss ex pentito Belforte

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E’ fissata per il prossimo 16 maggio davanti al Gup del tribunale di Napoli l’udienza preliminare per il delitto di Orlando Carbone. Unico imputato in questo procedimento è il boss di Marcianise ed ex collaboratore di giustizia, Salvatore Belforte. Secondo l’accusa il capo clan avrebbe mentito sulla morte di Angela Gentile, una donna scomparsa per lupara bianca nel 1991 perché amante del fratello Domenico, circostanza non digerita nella famiglia del gruppo dei cosiddetti ‘Mazzacane’. Per questo motivo la Procura di Napoli, su ordine del Viminale e disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia, decise di revocare la protezione al capoclan Salvatore Belforte nel 2017. I resti delle ossa di Orlando Carbone sono stati fatti ritrovare nelle campagne di Marcianse nell’aprile del 2015 da Belforte, a pochi mesi dalla sua collaborazione. Carbone fu ucciso a soli 20 anni insieme a un’altra persona, Giuseppe Tammariello.  “Orlando Carbone e Giuseppe Tammariello, sono stati uccisi da me e da Remo Scoppetta qualche giorno dopo la strage di San Martino avvenuta a Marcianise l’11 novembre 1986.  Sono stati eliminati perché dei testimoni scomodi”, è stata questa la confessione del boss Belforte.  I resti di Carbone sono stati rinvenuti dai carabinieri mentre delle spoglie del secondo che si chiamava Giuseppe Tammariello, soprannominato ‘Pinuccio o’ romano’ classe 1932, invalido in quanto gli mancava un braccio non è stato trovato nulla. Fu sciolto nell’acido, sotterrato e interrato nel cemento. Belforte ha raccontato che dopo la strage di San Martino, che diede il via alla faida con il clan Piccolo per il controllo degli affari illeciti nella città di Marcianise e nei comuni limitrofi, “sono avvenuti almeno 100 omicidi fino al coprifuoco di fine anni ’90”. Tra questi cento omicidi, almeno 25 sono stati ordinati o eseguiti da Salvatore Belforte. “Ho iniziato a collaborare per fare una vita diversa e farla fare anche ai miei figli. Mio figlio Vincenzo ha 17 anni e l’ho visto in tutta la sua vita appena 4 mesi e mezzo perché sono sempre stato in carcere”. Sono le parole di qualche anno fa di Salvatore Belforte, riferite al pm Luigi Landolfi, dal killer ed ex capo del clan dei “mazzacane” Ma il giudizio sulla sua attendibilità è cambiato un anno fa quando gli stessi pm della Dda di Napoli hanno capito che il boss non diceva tutta la verità soprattutto su alcuni fatti di sangue e d’onore della famiglia Mazzacane come il delitto Gentile. L’amante del fratello sparì il 28 ottobre 1991, dopo aver accompagnato la figlia a scuola. Quella figlia avuta proprio dal fratello, Domenico Belforte. Secondo la Dda, sulla base delle confessioni dei collaboratori di giustizia, però, la vicenda andò in maniera diversa da quanto raccontato. In questa vincenda, infatti, è indagata anche la cognata di Salvatore Belforte, Maria Buttone moglie di Mimì ‘Mazzacane’. “Tutta Marcianise sapeva che aveva avuto una figlia con lei e per questo aveva perso la faccia nei confronti delle altre donne del clan”. Quindi, quel giorno, fu prelevata da tre uomini nell’ex parcheggio dell’ospedale dove la sua auto, una Marbella, fu poi ritrovata. Il corpo “fu seppellito a Puzzaniello di Marcianise, vicino ai pilastri della ex Pontello”. “L’ho uccisa per errore” avrebbe confessato recentemente Mimì Belforte. Ma per la Procura non fu un errore. Il corpo della 33 enne non è mai stato trovato. La figlia, inconsapevole di tutta questa storia, dopo la scomparsa della madre, fu poi prelevata con un atto di forza dalle zie che vivevano a Caserta e ‘adottata’ dai Belforte.


Articolo pubblicato il giorno 2 Maggio 2019 - 10:58

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