Roma. L’ex direttore de L’Avanti è colpevole ma la pena va ridotta. Sono state rese note le motivazioni della Cassazione nel processo per la tentata estorsione ad Impregilo per la costruzione di un ospedale a Panama nel quale è imputato Valter Lavitola – indagato tra l’altro nella compravendita dei senatori, nella vicenda escort, in quella della casa di Montecarlo di An, condannato per truffa sui fondi per l’editoria -, i giudici ritengono però che la pena debba essere ridotta perché è venuta meno un’aggravante. “Correttamente – si legge nella sentenza – è stato ritenuto il tentativo di estorsione sul presupposto dell’idoneità e dell’inequivocabilità degli atti compiuti” e la motivazione della sentenza impugnata “possiede una stringente e completa attività persuasiva”, mentre “non risulta provata – conclude la Cassazione – la sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite, integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento della realizzazione della minaccia”. Lavitola, secondo l’accusa, nell’estate del 2011 minacciò impresilo di danni in borsa se non avesse costruito un ospedale gratis a Panama, come desiderava l’ex presidente panamense Ricardo Martinelli.
I giudici della Suprema Corte hanno reso note le motivazioni del processo che si è celebrato il 20 dicembre scorso ricostruendo la vicenda nella quale anche Silvio Berlusconi fu sentito come testimone.
Impregilo non raccolse la richiesta di Lavitola per conto di Martinelli ma per mantenere i rapporti con l’allora presidente – poi arrestato per spionaggio ai danni degli oppositori – pagò una vacanza in Sardegna ai componenti dello staff del governo sudamericano, attraverso Lavitola. Fermo restando la dichiarazione di responsabilità dell’ex direttore de L’Avanti, però, gli ermellini hanno annullato la sentenza rinviando gli atti alla Corte di Appello di Napoli affinché riduca la pena di tre anni inflitta in secondo grado per il venir meno dell’aggravante sul numero di persone. Secondo quanto ricostruisce la Suprema Corte, Lavitola, che si trovava a Panama dove è stato latitante, “per inoltrare tale minacciosa richiesta si sarebbe avvalso anche del presidente del Consiglio italiano Berlusconi il quale avrebbe a sua volta preso contatto con Massimo Ponzellini”, allora presidente di Impregilo. “A tali richieste del Lavitola, veicolate attraverso Berlusconi, Impregilo decise però di non sottostare” e il 3 agosto, il giorno dopo aver ricevuto le pressioni telefoniche, Ponzellini e Alberto Rubegni, al tempo ad di Impregilo, “concordarono la linea da seguire nel tentativo di fronteggiare la ventilata minaccia”. “I vertici di Impregilo, percepita la portata intimidatoria del messaggio, amplificata dalle modalità utilizzate per veicolarla, – dice la Cassazione – sono subito corsi ai ripari manifestando l’intenzione di recarsi a Panama per incontrare il presidente Martinelli e vedere che cosa si poteva fare per ricucire i rapporti”. “Intenzione – prosegue il verdetto – che si è concretizzata con il finanziamento del viaggio privato in Sardegna di una delegazione panamense, che ha visto l’intermediazione del Lavitola sul cui conto è stato versato l’importo”. Questo processo per la tentata estorsione a Impregilo, ricorda ancora il verdetto, “ha dato origine a un separato procedimento per corruzione” in concorso con Rubegni, conclusosi per Lavitola con sentenza definitiva e pena concordata davanti al Tribunale di Napoli il 22 gennaio 2015.
Articolo pubblicato il giorno 9 Maggio 2019 - 18:28