L’emergenza climatica è ben visibile con il continuo ripetersi di fenomeni alluvionali e ondate di calore che evidenziano una accelerazione nella frequenza e intensità dei fenomeni meteorologici, che nessuno può più negare anche per gli impatti crescenti nei confronti delle comunità e dei territori. Anche la Campania non è immune dalle conseguenze dei cambiamenti climatici: qui i fenomeni meteorologici estremi hanno causato negli ultimi anni danni consistenti e disagi diffusi. I numeri sono inquietanti: 29 eventi estremi dal 2010 a oggi, tra cui 6 trombe d’aria, 6 allagamenti da piogge intense, 12 episodi di danni consistenti a infrastrutture o al patrimonio storico a causa del maltempo, 4 esondazioni fluviali e una frana. Oltre 1,1 miliardi di euro di danni.
In vista delle prossime elezioni europee, Legambiente presenta il dossier “Il Clima è già cambiato: la Campania alla sfida per l’ Europa” con dati, numeri proposte rivolto a chi oggi chi si candida a rappresentare i cittadini campani e del mezzogiorno in Europa.
“Le politiche ambientali- commenta Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania- che si decideranno in Europa, inevitabilmente, avranno ricadute in Campania, una regione già fortemente colpita da abusivismo, consumo di suolo e dissesto idrogeologico, che vede i suoi capoluoghi di provincia in coda nella classifica sulla qualità della vita. Guardare all’Europa significa guardare in casa nostra. Dunque manutenzione del territorio, pianificazione di azioni di tutela e depurazione dei corpi idrici, chiusura del ciclo dei rifiuti e implementazione dell’economia circolare locale, cura e salvaguardia del patrimonio delle aree protette nazionali e regionali. Queste e altre sono le politiche prioritarie da mettere in campo per resistere e contrastare il climate change e allo stesso tempo promuovere un modello differente che tenga insieme rispetto del territorio, aumento della qualità della vita per i cittadini e sviluppo di politiche occupazionali. E per far questo c’è bisogno di una classe dirigente pronta, coraggiosa e lungimirante, insomma all’altezza della sfida epocale. ”
Gli europarlamentari campani che saranno eletti, si troveranno ad avere un ruolo prezioso, ancora più responsabile del passato, soprattutto se pensiamo che nella scorsa tornata elettorale su 17 seggi della circoscrizione sud, 9 sono stati assegnati a quelli campani. Se tale consistente rappresentanza commenta Legambiente– verrà riconfermata l’impegno per rendere la Campania una regione ambientalmente sostenibile sarà ancora più determinante, visto che la nostra regione è coinvolta nelle 14 procedure di infrazione aperte per l’Italia in materia ambientale dall’Europa.
Nel dossier Legambiente presenta una fotografia degli effetti sul territorio dell’emergenza climatica. Che la Campania sia una regione ad elevato rischio idrogeologico lo dimostrano i numeri: dei 550 comuni presenti nella regione, sono 503 (il 91%) quelli in cui ricadono aree classificate a elevato rischio idrogeologico con una superficie di circa 3.338 kmq (il 24,4% della superficie regionale). In totale sono oltre 544 mila le persone residenti in questi territori (circa il 10% della popolazione residente nella regione) dove insistono 499 scuole, 1288 beni culturali e 18.451 imprese. L’elevata diffusione del rischio idrogeologico in Campania ha portato negli ultimi decenni alla programmazione di 478 cantieri per “mettere in sicurezza il territorio”, di cui 57 risultano ancora in corso di esecuzione, 255 sono già conclusi e 166 riguardano altri interventi. Non meno frequenti sono i danni ai beni archeologici e al patrimonio storico culturale del nostro Paese.La Campania è al quarto posto in Italia – dopo Toscana, Marche ed Emilia Romagna – per il numero di beni a rischio che si trovano in aree a pericolosità elevata o molto elevata di frane. Su 8.889 beni culturali presenti in Campania, secondo l’Ispra, sono 1.154 i beni a rischio “elevato” e “molto elevato” di frana (13% del totale regionale ). Sono 689, invece, i beni culturali a rischio “medio” e “elevata” alluvioni in Campania (7,70 per cento del totale regionale). L’area metropolitana di Napoli è invece terza dopo le province di Siena e Genova: sul territorio partenopeo si trovano 448 siti ad alto rischio (il 13,6 % del totale provinciale ).
La Campania è sotto l’incalzante sanzionamento da parte della Commissione Europea per le inadempienze in materia di gestione dei rifiuti, che occorre ricordare attinge dalle nostre tasche ad una velocità pari a ben 120.000 euro al giorno, la situazione è tutt’altro che confortante. Al 31 dicembre 2018 per tale motivo l’Italia ha pagato 151,64 milioni di Euro. E nonostante la procedura d’infrazione, poco o nulla di nuovo sembra si sia concretizzato riguardo alle priorità di realizzazione dell’impiantistica necessaria al trattamento della frazione organica proveniente da raccolta differenziata (FORSU) e soprattutto dello strategico governo del settore da parte degli Enti d’Ambito. Secondo gli ultimi dati Ispra, nella nostra regione la produzione nell’anno 2017 è di 2.560.999 tonnellate, facendo rilevare una riduzione del 2.5% rispetto al 2016. La percentuale di raccolta differenziata raggiunge il 52%, con un valore pro capite di differenziata di 232 kg annui per abitante. Dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata oltre la metà sono costituite da organico: 678 mila tonnellate di cui solo il 6% viene trattato nei quattro impianti situati sul territorio regionale e attivi nel 2017. Tutto il resto viene portato fuori.
Inoltre, secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Arpac relativi ai controlli svolti nel 2018 sulle acque in uscita dagli impianti di depurazione, confermano la cronica criticità della situazione dal punto di vista della funzionalità e qualità della conduzione degli impianti. Infatti, su base regionale ben il 39% dei controlli è risultato “non conforme”, con punte di non conformità del 63% per gli impianti della provincia di Caserta e a seguire del 59% per quelli della provincia di Benevento, del 48% per la provincia di Avellino, del 40% per la provincia di Salerno e del 26% per la provincia di Napoli.
Se nel prossimo futuro la Campania completerà il suo ciclo dei rifiuti urbani con i necessari impianti di compostaggio e digestione anaerobica con produzione di biometano, se riusciremo a bonificare le tante discariche abusive o a realizzare i depuratori per evitare che gli agglomerati urbani continuino a scaricare i propri reflui nell’ambiente senza alcun trattamento, se riusciremo a sconfiggere lo smog che si respira nelle nostre città dovremo dire ancora una volta grazie alle politiche che saranno messe in atto in Europa.“ La Campania e l’Europa hanno bisogno di un Green New Deal, un piano complessivo di azioni- conclude Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania- che tengano insieme rispetto del territorio, aumento della qualità della vita per i cittadini e sviluppo di politiche occupazionali. Dove la Campania può avere un ruolo di primo piano per l’ intero mezzogiorno. Una partita da giocare. E provare a vincere. A patto di schierare in campo una classe dirigente che metta in primo piano gli “interessi collettivi” a lungo termine invece di quelli “elettorali” di breve termine. “
Articolo pubblicato il giorno 2 Maggio 2019 - 14:50