L‘8 giugno 2019, alla aA29 Project Room di Caserta, aprirà la mostra dell’artista Giovanni Scotti intitolata CINNAMON HEART: PEEPSHOW, concepita assieme al curatore Diego Mantoan come una sorta di anticipazione di un più vasto progetto artistico incentrato sull’ex-base NATO di Bagnoli, Napoli. Dopo innumerevoli tentativi, l’artista ha ottenuto i permessi per avere accesso all’area scoprendo all’interno una perfetta ambientazione da film di spionaggio che si presta naturalmente alla visione del suo obiettivo. A partire dalle immagini e dai materiali ricavati da quella visita semi-clandestina, Giovanni Scotti assieme al curatore danno forma a una narrazione incentrata sul potere, dove ambiguità, segretezza e mistero sono i principali ingredienti per condire quel clima da day after che si respira nella ex-base NATO. Poiché la verità nuda e cruda non viene mai creduta, l’operazione si articola lungo diverse tappe, così da produrre uno svelamento progressivo in cui l’artista dischiude omeopaticamente pillole di realtà, o di quanto di essa sia ancora distinguibile. La mostra casertana segna l’avvio di questo graduale svelamento, presentando le fotografie dell’artista napoletano e, per la prima volta, alcuni materiali veri o presunti tali ricavati dalla sua incursione nell’abbandonata base militare. A farla da protagonista sono sei grandi scatti degli interni – alcuni liberi alla vista, altri coperti da un telo – dai quali emerge una qualità fotografica essenziale e oggettivante, pienamente consapevole degli insegnamenti della scuola tedesca, da Andreas Gursky a Thomas Struth, eppure al tempo stesso capace di cogliere una pienezza di luce che è invece del tutto mediterranea. Ad accrescere la tensione espositiva tra vero e verosimile giungono alcuni oggetti e altri “ritrovamenti” documentari con i quali l’artista intende esortare il pubblico a scoprire la realtà, trovandosi di fronte a una sua rappresentazione specchiata, una messa in scena artificiosa tanto quanto lo sono le verità distillate dai governi delle potenze mondiali. Con quest’anticipazione Giovanni Scotti pone lo spettatore all’interno di un metaforico peepshow, gli squallidi locali di spogliarello, nei quali bisogna oltrepassare le tendine per addentrarsi nella nuda verità. Costretto nel ruolo di vouyeur, il visitatore deve decidere per sé fin dove spingere la propria curiosità, mentre foto e oggetti approntati dall’artista cercano di stimolarne la fantasia. La mostra funge da preludio alla prossima, fondamentale tappa del progetto, ossia il confronto pubblico che l’artista si propone di fare con la creazione di un’agenzia o ufficio artistico che si colloca in un contesto davvero singolare e inaspettato. Dove? Anche questo è da scoprire. Per certo avverrà in un luogo fantastico, sulla soglia fra realtà e finzione, e pervaderà l’intera città. L’ufficio artistico permanente, che ha già ottenuto il plauso di collezionisti del calibro di Giorgio Fasol, oltre ad essere un luogo di dibattito sul potere, servirà a provocare una riflessione cittadina, a innescare un processo di svelamento, a rilanciare un dibattito pubblico su un tema non privatizzabile.
CINNAMON HEART di Giovanni Scotti
“Dentro a queste stanze decisero di bombardare Belgrado. Era il 1999…”, mi dice un addetto alla sorveglianza mentre mi accompagna all’edificio dell’ex Comando della NATO a Napoli (il più importante del Sud Europa dal 1954 al 2013). Così inizia il mio viaggio nelle “stanze dei bottoni”, tra tutte quelle cose che erano ancora lì, come gli americani le hanno lasciate (arredi, decorazioni e oggetti di vario genere, fotografie e alcuni documenti riservati), assieme a una scatola di caramelle a forma di cuore, “cuoricini alla cannella”, da cui il titolo del lavoro. Entro. Ad accogliermi nella sala congressi una inscrizione che dice: “This is a briefing”. Da bambino sentivo parlare della NATO come di un posto incredibile e inaccessibile, ma non sapevo cos’era esattamente e cosa si faceva là dentro. Quello che sapevo è che potevi comprare il burro d’arachidi, i marshmallow, le Marlboro, le telecamere, i videoregistratori e gli stereo della JVC. Tutta roba americana. Ora sono grande ma non so ancora esattamente che cos’è e cosa fa la NATO. Però so che questo è stato un luogo di potere. Come so che il potere ha un effetto, un costo. Scava solchi profondi lungo i quali lascia sempre una traccia. This is (not) a briefing.
“È questo un luogo di atavica memoria, dove una nuova luce illuminerà la via. Allora ho camminato sul cuore in frantumi di una umanità senza più appello e quello che ho visto non è ancora”. Leggo questa frase, in italiano, su un biglietto che giaceva lì in un cassetto…
LE STANZE DEL NEGROMANTE di Diego Mantoan
Il vero potere è sottile, impercettibile. Ammanta tutto come la luce del giorno, eppure resta invisibile a occhio nudo. Pervade la vita delle persone, anche se nessuno se ne accorge. A porte chiuse, con discrezione, il potere vero decide del futuro dell’umanità. Nelle segrete stanze, donne e uomini diventano allora una variabile, un’idea astratta. Quanto lo sono per noi gli insetti che esistono, ma riconosciamo a stento, se non ci capitano a tiro. Vi sono alcuni luoghi in cui il potere vero si concentra, all’insaputa dei più. Questi luoghi non si conoscono, nessuno li ha mai visti. Però tutti ce ne possiamo fare un’immagine. Ci vengono in soccorso il cinema o le serie TV. Tanto che, se ci capitasse di finire davvero in uno di questi luoghi, non sapremmo distinguerlo da un set. Realtà e finzione combacerebbero in una sola visione – e capiremmo subito di trovarci nel luogo di rappresentazione massima del potere, quello vero, pur senza crederci fino in fondo. Questi luoghi esistono, ma non ce ne renderemmo conto, neanche avendoli sotto casa.
Come in un’operazione di svelamento controllato, la serie fotografica di Giovanni Scotti dedicata alla ex-base NATO di Bagnoli dischiude una realtà celata per quasi sessant’anni. L’orologio sembra essersi fermato, quasi in attesa che l’indomani qualcuno venisse a ripristinarlo. Le stanze sono pervase ancora da un’aria pregna di gravità. Tempo e spazio paiono sospesi, oppure annullati, come in una dimensione parallela. Si direbbe il giorno dopo una sparizione improvvisa: tutte le persone che abitavano quei luoghi si sono dissolte in un momento, gocce di rugiada evaporate alle prime luci del mattino. Restano stanze ammobiliate, altre vuote, corridoi in penombra. E poi enormi carte geografiche, tavolate per riunioni d’emergenza, scaffali sospesi sul nulla, tendaggi classici, specchi su specchi, sedie e telefoni divelti. La fotocamera di Giovanni Scotti riattiva questi luoghi, facendosi opera di negromanzia. Le stanze ritornano in vita, ma è una vita finta, quella degli zombie. Si fanno ancor più minacciosi dopo il trapasso. E ci accorgiamo, poco a poco, che quelle stanze potrebbero trovarsi ovunque nel mondo. O forse a pochi passi dalla nostra quotidianità.
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