“Nel dibattito politico e imprenditoriale sempre più spesso la modalità del fare viene considerata prevalente sul come si fa. Rischia di passare la suggestione, già teorizzata in passato, che con certi sistemi di malaffare si possa convivere. E questa cultura del fare a tutti i costi giustifica il ruolo dei ‘facilitatori’ quelle figure che per superare un problema non mettono in campo soprattutto il bagaglio di relazioni e spesso di rapporti illeciti”. A denunciarlo, in un’intervista a ‘la Repubblica’, è il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. “Credo sia stata fatta passare l’idea che l’Anticorruzione aumenti il peso della burocrazia – dice Cantone, rispondendo a una domanda sugli attacchi di cui è oggetto l’Anac – Quando domando ‘Perché?’, non mi danno risposte o mi indicano cose che non dipendono da noi. Però così si diffonde il concetto che il problema non sono le tangenti ma l’anticorruzione, come Autorità e come movimento di pensiero. E questo viene usato strumentalmente da chi vuole le mani libere, ma soltanto sui fondi pubblici”. E quanto all’ipotesi che la corruzione sia considerata un problema secondario “voglio essere ottimista e fermarmi ai fatti; il Parlamento ha approvato una legge molto rigorosa in materia – ricorda – Certo mi preoccupa in certi ragionamenti l’ idea che le regole non siano considerate un meccanismo utile per lo sviluppo di una normale società democratica, ma un impedimento. Un messaggio lanciato non solo da una parte della politica ma anche dell’imprenditoria e delle associazioni professionali. La stessa impostazione culturale l’abbiamo vista all’ opera con la deregulation del 2001 e le tante semplificazioni proposte negli anni che non hanno né risolto la lentezza dei cantieri né tantomeno evitato la corruzione, anzi purtroppo l’ hanno amplificata”. “C’è un pendolo degli umori del Paese. Lo abbiamo superato nel caso della criminalità organizzata, perché oggi è difficile che un soggetto condannato per mafia possa essere riciclato. Invece tutto sommato nessuno si scandalizza se una persona pregiudicata per corruzione continua a fare le stesse cose. E nelle ultime indagini – conclude il presidente dell’Anac – c’è un preoccupante elemento comune: la presenza della criminalità organizzata. Resta all’esterno, ma qualcuno all’interno del sistema si fa portatore degli interessi delle mafie”.
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