Qualche giorno dopo l’agguato del rione Villa del 4 aprile scorso in cui fu ucciso Luigi Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi mauè, e ferito il figlio Pasquale, il reggente della cosca nemica dei D’Amico ovvero Umberto Luongo dialogando con i suoi affiliati in merito a quello che stava accadendo al rione Villa spiega: “…A Pasqua deve entrare una cosa di soldi … e poi una volta passato questo mese cominciamo a dettare legge”. E per dimostrare a chi lo ascoltava il suo carisma e la sua leadership all’interno del clan dice: ” …io sono il Luongo Umberto di una volta …”. Ma secondo i due pm che hanno deciso il fermo dei sette del clan la “determinazione ancora manifestata da Luongo Umberto nel proseguire la strategia armata” è contenuta nella frase “non è finita qua” . Cioè eliminare ulteriori esponenti dei gruppi camorristici rivali delle famiglie Reale/Rinaldi, insediati al rione Pazzigno. E non a caso dice: “ora devo attaccare a quello nel Pazzigno”. Poi spiega la sua strategia: ” .. Noi ci muoviamo con il cervello siamo compatti , tutti quanti noi ( … ) se a me mi arrestano, arrestano anche a te( … ) … qua siamo “padre. figliolo e spirito santo .. ” e rivolgendosi ad lmprota Gennaro … perché tu il fermo lo tieni con me” intendendo riferirsi ad un controllo di polizia in strada. Gli interlocutori si soffermano, poi, sulla circostanza che Salomone Salvatore etto “Ciù Ciù “, cugino di Umberto D’Amico, all’indomani dell’omicidio, abbia chiuso, per paura di ritorsioni, il bar da lui gestito. Sul punto Luongo afferma, sostenuto da Umberto ‘o Lione, che dovrà, invece, riaprire subito l’esercizio commerciale in quanto, restando inattivo, lascia, facilmente, intuire il coinvolgimento nell’omicidio proprio del gruppo D’Amico – ” .. fai capire che siamo stati noi ! …”.
L’attenzione degli interlocutori si sposta, poi, sul concreto rischio, all’indomani dell’omicidio, di essere maggiormente oggetto di intercettazioni ambientali “‘ …se prendiamo l’omicidio ciascuno siamo saltati… dove andiamo più! … “, e concordano sull’opportunità dì evitare di parlare tra loro dell’agguato.
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