Caravita, carcere e reinserimento sociale, nella biblioteca di Caravita, quartiere di Cercola, si è tenuta la presentazione del libro ‘Mi chiamano sbandato’, scritto da Edmond, ventiseienne di Ladispoli, durante la sua detenzione nel carcere romano di ‘Regina Coeli’. A riempire la biblioteca, oltre agli abitanti della cosiddetta 219 e delle altre frazioni cercolesi, vi era quasi l’intero consiglio comunale. A fare gli onori di casa è stato il Sindaco Vincenzo Fiengo, a cui è seguito l’intervento di Francesco Donzelli (presidente di ‘Dimensione Forense’) teso a sottolineare che ‘se nelle galere vi è un educatore ogni ottanta detenuti allora è chiaro che la tanto decantata rieducazione è attualmente impossibile.’ Il giornalista Giuseppe Manzo ha moderato il confronto che si è articolato intorno al problema del reinserimento sociale post-scarcerazione. Presenti tra i relatori anche il Garante Detenuti Campania Professor Samuele Ciambriello, il quale ha rivendicato la necessità del maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione carceraria ‘perché la parola carcere richiama la ricerca di se stessi ed invece gran parte delle volte ci si perde.’ L’ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli Carmine Antonio Esposito, da parte sua ha evidenziato che ‘la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e ciò significa che deve essere demandato alla Magistratura di Sorveglianza il compito di valutare caso per caso quando il soggetto possa considerarsi rieducato.’ Ad accendere i riflettori sulle contraddizioni del sistema carcerario anche la penalista e consigliera del Comune di Cercola Immacolata Romano, secondo cui ‘I detenuti quando escono dal carcere hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo lavorativo. Dentro non vengono offerti adeguati processi formativi e la cosiddetta fedina penale sporca spesso crea un approccio preconcetto da parte di coloro con cui si troveranno a doversi relazionare.’ Ma ieri è stata anche un’occasione per chiarire che ‘Nelle periferie – come ha affermato l’avvocato penalista Giuseppe Milazzo – ci ritroviamo quella parte del tessuto sociale relegata ad un ruolo subalterno e che, inevitabilmente, in momenti di crisi sociale ed economica si traduce in popolazione carceraria.’ Secondo Milazzo, anche autore dell’introduzione al libro, ‘Occorre una rivoluzione culturale che ci liberi dalla delazione paranoide dettata dal delirio manettaro che vede il carcere come la panacea di tutti i mali.’ A mezz’ora dalla fine dell’incontro l’autore del libro sì è alzato per rientrare a Roma, dove attualmente è in regime di detenzione domiciliare. ‘Mi chiederanno qual è il grado di follia, dirò è alto per sognare in questo mondo’, e dopo aver recitato il suo ultimo scritto ha salutato i presenti.
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