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Mafia nigeriana e riti voodoo, ecco come l’Eiye gestisce prostituzione e droga tra Palermo, Napoli e Torino

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Mafia nigeriana in Italia: a Palermo scatta l’operazione della Squadra Mobile ‘No fly zone’ che ha permesso di fermare 13 persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso. Coordinata dalla Dda, l’operazione ha svelato i segreti del clan di matrice cultista Eiye ramificato in tutta Italia, con basi a Palermo nel quartiere Ballarò, Napoli, Torino e Treviso. L’indagine nasce dalla denuncia di una ragazza, nata in Nigeria come i suoi aguzzini, vittima di tratta e di sfruttamento della prostituzione. A Ballarò, all’interno di un appartamento, le giovani donne venivano minacciate e costrette a vendere i loro corpi al miglior offerente. La polizia ha registrato i rituali di affiliazione necessari per entrare nel clan, ricostruendone l’organigramma a livello locale, fino a giungere all’identificazione dei vertici. Le microspie piazzate a Ballarò hanno cristallizzato uno di questi riti, a conferma di quanto rivelato da due pentiti nigeriani. Gli affiliati venivano fatti spogliare e poi picchiati con calci e pugni, costretti a bere un intruglio del loro sangue e delle loro lacrime. Alla fine del rito i nuovi affiliati leggevano la formula del giuramento: “Debitamente giuro di sostenere Eiye confraternita moralmente, spiritualmente, finanziariamente e in qualsiasi altro modo e se non lo faccio che il vulture (l’avvoltoio) spietato mi strappasse gli occhi.. per l’eternità”. Ma questo è solo l’inizio, perché per scalare la vetta dell’organizzazione bisognava commettere tanti reati che venivano ‘ricompensati’ con dei punti. Nel corso delle indagini sono stati documentati numerosi episodi violenti riconducibili al gruppo e alla sua capacità di imporsi sul territorio nel settore dello spaccio di droga e del mercato del sesso. E’ emerso, inoltre, come i membri cercassero di mascherare l’associazione a delinquere Eiye, costituendone una regolare denominata Aviary. In tutto sono 19 gli indagati e per 17 sono stati spiccati provvedimenti di fermo, ma 10 sono ancora ricercati.

La divisa degli adepti e l’organizzazione.  Baschi dal colore blu (o rossi), camicia o tshirt gialla, vestito nero, calze gialle, la bandiera blu, gialla e bianca: sono questi i segni distintivi della confraternita nigeriana denominata Eiye. Una vera organizzazione criminale, nata in Nigeria con articolazioni in tutto il globo. Per questo i pm contestano il reato di associazione mafiosa, lo stesso che viene contestato a Cosa nostra. L’associazione ha una organizzazione ben precisa, le cariche più importanti – scrivono i magistrati – sono otto: Flying Ibaka è il capo del nest, il nido, colui che da le direttive; Ostrich, ovvero lo struzzo, colui cioè che fa eseguire le direttive dell’ibaka e lo sostituisce facendogli da vice in sua assenza; Nightingale, Ng (anche detto Infantry), che svolge il ruolo di segretario durante le riunioni del consiglio degli Ibaka e si occupa della difesa dei consociati. Esiste un Nightngale in ogni Nest locale; Eagle, ovvero l’aquila, é il capo dei picchiatori, omologo al butcher della Black Axe; e Wood Pecker ovvero il picchio si preoccupa di raccogliere le quote associative, versate dai bird al nest; Parrot, il pappagallo, che dovrà informare tutti i bird delle riunioni dell’assemblea generale dei membri del “nido” oppure del gruppo direttivo. E’ anche colui che canta durante i rituali di affiliazione dei ‘bird’; Dove, la colomba, cioè l’occhio che osserva quello che accade all’interno e all’esterno del proprio nest, riferendo direttamente all’ibaka; Flight Commandant é colui che verbalizza le riunioni.
Le quote associative e le armi. L’affiliazione ha un costo ed é un legame che non si può sciogliere senza incorrere nella reazione violenta degli altri affiliati. La quota associativa versata – sostengono i pm di Palermo – va a rimpinguare la cassa dell’organizzazione criminale che viene ripartita su base regionale. Il rito di affiliazione prevede il ricorso alla violenza e l’utilizzo di bevande a base di gin miscelato ad acqua e peperoncino o pepe ed altre sostanze alcoliche con porzioni di riso e tapioca chiamata, Hot Water.
Sulla Supreme Eiye Confraternity la Direzione distrettuale antimafia di Palermo indagava da tempo. “Si tratta – si legge nel provvedimento – di un sodalizio radicato in Nigeria e diffuso in diversi stati europei e extraeuropei che si oppone, scontrandosi, con gruppi rivali variamente denominati in primo luogo Black Axe, Vikings Maphite e Arubaga per assumere e mantenere il predominio nell’ambito della comunità nigeriana”.
Violare le regole significa decretare la propria condanna a morte. E nella potente confraternita degli ‘Eiye’ la segretezza è la regola principale. Ogni violazione da parte degli affiliati può essere pagata con la vita. “Frequenti e atroci violenze” spiegano gli investigatori perpetrate vicendevolmente dagli affiliati degli opposti ‘clan’, gli Eiye e i Black Axe. “E’ per questo che ho paura – racconta uno dei due collaboratori di giustizia nigeriani che agli investigatori di Palermo hanno svelato la strutture e i segreti dell’organizzazione – perché ho una bambina e ho un bambino in Nigeria che è nato nel 2012”. Parlare di queste cose è “un grosso rischio per me – ammette – il neo pentito -. Ma io voglio liberarmi di queste persone. Voglio sostenere l’Italia con tutto il cuore. Non voglio nascondere niente”. Raccontare i segreti della confraternita in Nigeria è pericoloso. “Ci sono tante persone – dice – che sono andate alla polizia per arrendersi, per cercare un lavoro. Ma quando questo succede la persona rischia molto perché il suo nome viene scritto in un libro nero e magari uno o due anni dopo quella persona viene uccisa. Sono capaci di uccidere un fratello, anche un figlio piccolo”. E’ quanto è successo a un ragazzo “che abitava in Abico – ricorda -. E’ andato a parlare con un membro Black Axe, a sparlare dei segreti degli Eiye. E lui è stato ucciso. E’ vietato per un membro Eiye entrare nei Black Axe o viceversa. Chi lo fa deve essere ucciso. E’ una regola. Non hanno ucciso solo lui ma anche suo figlio che aveva due o tre anni. Gli hanno sparato”.
“Nel 2006 avevo una certa notorietà. Avevo una pistola. Perché nella Confraternita Eiye non devi aspettare che vengano da te a combattere, ti devi difendere da solo. Nel 2006 un Black Axe ha ucciso un mio amico di nome Osed, gli hanno tagliato la testa e l’hanno messa davanti al cancello della scuola”. Racconta il pentito: “Io sono entrato in questo gioco per la mia dignità, per avere rispetto ma non mi è piaciuto”. Dentro l’organizzazione ogni membro è armato. “La mia pistola per me era mia sorella, mia mamma, mia moglie perché Edo State è una terra sanguinosa. E’ molto facile essere ucciso lì”. I contrasti tra fazioni opposte, tra i Eiye e i Black Axe, sono frequenti e sanguinari. “Nel 2006 la situazione era molto grave – ricorda il neo collaboratore nigeriano -. La guerra era salita troppo e le persone motivano come topi”.
Le quote associative. Il pentito parla poi delle quote pagate dagli associati: “In Nigeria ho pagato 4mila naire che in moneta italiana equivalgono a 140-150 euro – racconta -. Li ho pagati al mio God Father, cioè colui che mi ha fatto conoscere gli Eiye”. Una quota associativa che deve essere pagata anche da chi si affilia in Italia. “Se vedono che non hai molti soldi – racconta ancora il pentito – ti chiedono 100-150 euro. Se sanno che hai un’attività, ad esempio vendi droga, possono chiederti 400-500 euro. Chiedono di più perché sanno che è più ricco”. A ricevere il denaro, pagato in contanti, è il God Father. “Se ha preso 150 euro, 50 euro se li tiene e gli altri 100 euro li dà all’Ibaka. In realtà l’Ibaka non lo sa che il God Father si tiene una parte dei soldi”. La regola? Che i soldi vadano all’Ibaka che “benedice il nuovo membro” e che ha “il diritto di mettersi in tasca” il denaro e usarlo per se stesso perché “è stato nominato capo. Può usarli per il gruppo ma questo non è obbligatorio. E’ visto come un suo atto di generosità”. Anche l’Ibaka è sottoposto a una ‘tassa’ da versare negli incontri tra i capi quando c’è un progetto da portare avanti. “In Nigeria il pagamento di queste tasse durante i meeting tra Ibaka – spiega ancora il pentito nigeriano – è assolutamente obbligatorio”. E il denaro raccolto serve a comprare armi da usare negli scontri con gli altri Cult, per “uccidere i Black Axe e i mafiosi. Ci sono molti gruppi mafiosi in Nigeria, si possono chiamare Black Axe, Juris, Arubaga. Anche Sea Lord”. Omicidi e non solo. Perché la cassa dell’organizzazione serve anche ad aiutare i membri che ne abbiano bisogno. Così un altro pentito racconta che “se sei una persona molto popolare negli Eiye loro possono aiutarti a pagare il funerale se ti muore un familiare, o il matrimonio ma non ti aiutano sempre, devi essere una persona popolare. “In Europa e in Italia i soldi vengono in parte utilizzati per iniziative locali e per finanziare i viaggi dei capi, ad esempio, per partecipare alle riunioni organizzate dalle articolazioni territoriali e, in parte, inviati in Nigeria”, spiegano gli investigatori.
La storia. E’ terribile la storia che vede come protagonista una giovane nigeriana che oggi vive alla Caritas di Palermo. “La mia storia inizia il 7 giugno del 2014 quando ero in Nigeria. Lì, avendo problemi economici decisi di raggiungere l’Europa e così mi rivolsi alla mamma di una mia amica che poi fece il viaggio insieme a me e questa mi prospettò la possibilità di andare in Europa…”. Inizia così la storia dolorosa di B. E’ stato grazie anche alle sue dichiarazioni che gli investigatori sono riusciti a fare luce sulla cellula ‘Eiye’ con il fermo di sette persone, mentre altre sei sono ancora ricercate. “Pur di allontanarmi per ragioni economiche dalla mia patria- racconta ancora B. -accettai la proposta di partire allettata anche dal fatto che la mamma della mia amica mi prospettò di lavorare nel bar di sua sorella che si trovava in Italia. Prima di essere inviata in Italia fui sottoposta insieme ad altre ragazze ad un rito voodoo nella città di Edo State”. “Ci hanno fatto dei tagli e ci hanno fatto bere qualcosa – spiega ancora la ragazza -Nel corso del rito abbiamo giurato di pagare la somma di 25.000 euro ciascuno. Siamo partiti il 7 giugno 2014 da Edo State in un autobus ed eravamo tre ragazze e quattro ragazzi, abbiamo preso un altro mezzo ed abbiamo attraversato il deserto del Niger per arrivare in Libia”. “In Libia siamo stati ospitati a casa di un uomo a Saba e poi da lì a Tripoli dove siamo rimasti per tre giorni. Poi siamo stati trasferiti in un campo dove siamo rimasti due settimane appena il tempo lo ha permesso ci siamo imbarcati in un gommone tutti e sette. Dopo qualche ora di navigazione siamo stati salvati da una nave e portati in Italia dove siamo sbarcati a Reggio Calabria il 4 agosto 2014”. Pochi giorni dopo l’arrivo al centro di accoglienza, “una persona ci ha fatto uscire dal centro e ci ha portate a Bari. Quando siamo arrivate a Bari noi tre ed Osasu siamo andate a vivere tutti nella stessa casa”. Ed è stato qui che B. ha scoperto che non sarebbe andata a fare la cameriera ma la prostituita. “Friday ci picchiava e minacciava di morte se non avessimo obbedito gli dovevamo dare i suoi 25 mila euro- dice – Ci intimidiva tramite le credenze del rito voodoo a cui eravamo state sottoposte dicendoci che saremmo morte. A metterci i preservativi in borsa e ad accompagnarci per strada a lavorare fu la compagna di Friday di nome Jessica. Dopo due mesi che ero a Bari mentre Jessica era in Nigeria sono rimasta incinta di Friday con cui non ho mai avuto una relazione affettiva ma praticavo sesso contro la mia volontà. La moglie di Friday stava male ed è morta nel febbraio del 2015 per un problema ai reni”. “Ho continuato a prostituirmi anche in gravidanza poiché Friday mi minacciava e picchiava se non lo facevo”, racconta ancora tra le lacrime B. “Quando ho partorito, dopo circa una settimana, sono stata costretta nuovamente a prostituirmi fino a quando ho ascoltato il consiglio telefonico di mia mamma e mi sono rifiutata di continuare”. Ma Friday “si è molto arrabbiato per la mia decisione ed ha iniziato a picchiarmi violentemente per convincermi a riprendere a prostituirmi – dice – Mi ha picchiata per circa due mesi di seguito mi dava sia schiaffi che colpi di cintura in tutto il corpo spesso in presenza della mia connazionale ed amica Glory che inerme ha assistito a queste percosse”.


Articolo pubblicato il giorno 4 Aprile 2019 - 19:19

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