‘Pizzini’, documenti, carte. Nella casa diventata covo del boss Marco Di Lauro c’era la contabilità del clan. Ora già tutto al vaglio degli investigatori che hanno deciso di dare una accelerata. ‘Meglio battere il chiodo finché è caldo’ pensano gli investigatori. Ora che sono tutti animati dalla grande soddisfazione della cattura del super latitante numero due in Italia si vuole dare un ulteriore colpo alla cosca criminale e sanguinaria di Secondigliano. Si vuole arrivare a tutti quelli che in questi anni hanno coperto la sua latitanza. A chi lo ha aiutato economicamente, a chi gli ha offerto rifugio e protezione.
L’appartamento dove è stato catturato Marco Di Lauro e dove il boss viveva con la compagna e i gatti di casa “era in affitto. Stiamo lavorando per capire da quanto tempo”. Lo hanno detto gli investigatori durante la conferenza stampa in Questura a Napoli, spiegando che “sono in corso accertamenti per ricostruire la rete di fiancheggiatori”. “Occorre capire da quanto tempo fosse li e la sua rete di copertura”, hanno aggiunto. Il boss, ha evidenziato il questore di Napoli Antonio De Iesu, “non girava travestito ma come un ragazzo qualunque, e questa era la sua migliore mimetizzazione”, la sua forza è stata “la grande capacità di nascondersi tra i cittadini comuni: abbigliamento normale e convivenza con una ragazza”. Di Lauro e la compagna sembravano una coppia di giovani come tante altre: “non hanno figli ma solo gatti”, si è spiegato in conferenza stampa, precisando che per lei non sono stati emessi provvedimenti. Rispetto a 14 anni fa, il boss, ha aggiunto De Iesu, “ha qualche anno in più ma non ha modificato le sue caratteristiche e ha ancora la stessa faccia da ragazzo”. Il superlatitante della camorra si nascondeva in via Emiliano Scaglione tra Chiaiano e Marianella, a Nord della città, non troppo lontana dalla ‘sua’ Secondigliano dove sono invece liberi, perché hanno scontato oltre dieci anni di carcere a testa, quattro dei suoi sei fratelli: Salvatore, Antonio, Nunzio e Raffaele. Il padre Paolo é in carcere, cosi’ come il fratello maggiore, Cosimo. Adesso la procura di Napoli, e in particolare il pool coordinato dall’aggiunto Giuseppe Borrelli, é al lavoro per decifrare tutte le carte che sono state sequestrate e che si ritiene abbiano un importante valore probatorio per cercare di decifrare le strategie criminali della cosca che nel 2004 poteva contare su incassi milionari. Eppure nonostante la disponibilità economica, il boss aveva deciso di restare sul territorio, anche se gli inquirenti ritengono che possa aver più volte lasciato l’Italia per puntate in Sudamerica e negli Emirati Arabi. C’e’ ancora un importante retroscena ed è legato all’omicidio di Melito avvenuto a ora di pranzo quando Salvatore Tamburrino, pregiudicato affiliato al clan Di Lauro, ha ucciso la moglie Norina, 33enne. L’uomo, che aveva scontato anni di carcere per camorra, era ritenuto vicino a Marco. Un suo passo falso, qualche telefonata di troppo, ha forse permesso la svolta decisiva che ha portato circa 150 uomini a via Emiliano Scaglione, i quali hanno circondato tre edifici e sono arrivati a lui.
Articolo pubblicato il giorno 2 Marzo 2019 - 23:45