Confermata anche dalla IV Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli la condanna all’agente di Polizia Postale, Raffaele Piccolo quale autore di una serie di atti persecutori nei confronti del bomber Fabio Quagliarella ed alcuni suoi amici “probabilmente perché animato da un evidente delirio di onnipotenza o da un accentuato complesso di inferiorità e gelosia tale da indurlo ad inviare anche due lettere anonime alla DIA di Napoli ed al Commissariato di Castellammare di Stabia”. “Fabio Quagliarella che sniffa cocaina e poi fa gol”. E’ una frase contenuta in una lettera inviata al padre di Quagliarella, Vittorio, che ha conosciuto l’agente di polizia in un negozio di telefonia mobile a Castellammare di Stabia. “Caro Signor Vittorio, dite a vostro figlio che a Castellammare lo stiamo aspettando per una bella festa. E’ inutile che va facendo il pettiniere di nascosto con il suo amico della Vodafone, perché quando sto qui sappiamo tutti i suoi movimenti e poi ditegli che deve fare attenzione perché nel negozio del suo amico ci sta sempre il nipote di D’Alessandro e qualche volta succede un lutto grosso perché ci sta gente di un altro clan che lo tiene puntato, perciò se ci sta vostro figlio finte pure lui male”. Non solo Quagliarella, il finto “amico dei Vip” ha usato atteggiamenti persecutori anche nei confronti di Guido Lembo anch’egli vittima di lettere ed sms anonimi dal contenuto offensivo, buste contenenti schermate riconducibili ad apparenti siti internet dal contenuto pedopornografico nonché messaggi contenenti parole quali “bello il servizio di Dino Piacenti ma quando saprà la verità sulle perversioni senza età cambierà idea”. “Pedofilo hai rovinato pure Quagliarella, gli hai fatto chiavare le minorenni”. Sono i dettagli che emergono nelle oltre 20 pagine delle motivazioni della sentenza emessa il 25 ottobre scorso dal collegio dei giudici composto dai magistrati Giacobini, Apicella e Rotondi nella quale viene ripercorsa tutta la storia che ha visto coinvolto in prima persona Fabio Quagliarella all’epoca dei fatti in quota Calcio Napoli. Alcune missive furono fatte arrivare anche alla società azzurra tanto che il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, consigliò al calciatore stabiese di trasferirsi a Castel Volturno ed evitare di frequentare la città di Castellammare di Stabia “perchè doveva rimanere tranquillo”. Nelle dichiarazioni durante la fase processuale il calciatore ha inoltre sottolineato come “il suo trasferimento alla Juventus poteva essere dipeso proprio da tale circostanza nonostante il suo rendimento in campo fosse stato soddisfacente”. Solo nel 2010 le persone, vittime di atti persecutori, iniziarono a nutrire seri dubbi nei confronti di Raffaele Piccolo. “Ci confrontammo un po’ sulle lettere che ci arrivavano e che per contenuto, per modalità erano identiche, identiche alle mie – racconta una delle vittime – io non mai visto le lettere degli altri però così come me le descrivevano e così come io descrivevo queste lettere erano identiche (…) così mi sono fatto un’ idea che era Raffaele Piccolo”. Con una serie di stratagemmi il gruppo riuscì ad identificare il mittente delle lettere anonime facilitando l’indagine degli investigatori tanto che l’imputato cercò invano di mostrarsi come vittima di lettere anonime per stornare i sospetti. “Raffaele mi fai vedere quel messaggio per piacere?” dice il padre del calciatore. Il poliziotto prende lo smartphone… “Uh io l’ho cancellato”. “Ma come tu fai il poliziotto, siamo nel fuoco da quattro-cinque anni, ci stiamo uccidendo la salute, qua non dormiamo la notte, tu pigli fai il poliziotto, ti abbiamo incaricato a te, abbiamo fatto cento denunce”. Tra le varie dichiarazioni espresse dalle parti civili costituitesi in processo viene riportata anche l’episodio che vede un noto avvocato stabiese che viene avvisato da Piccolo circa un’email inviata al comune di Castellammare di Stabia per il pagamento di una fattura per attività pedopornografica che non lo riguardavano poiché la missiva era stata indirizzata al sindaco. L’agente di polizia nell’intera vicenda coinvolse anche l’ex moglie, commissionando la scritta “E’ una zo…” sulla facciata del palazzo dello studio legale presso il quale la donna lavorava. Gli atti persecutori finirono dopo che il calciatore ed altre vittime decisero di agire autonomamente e sporgere denuncia alla Procura di Torre Annunziata che predispose le indagini necessarie che riuscirono a smantellare l’articolato e folle sistema, fatto di mail, account falsi e altro, messo in piedi dall’agente di polizia postale condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere, al pagamento di tutte le spese processuali e l’interdizione di cinque anni dai pubblici uffici.
Emilio D’Averio
Articolo pubblicato il giorno 4 Marzo 2019 - 22:06