Una sentenza assai discussa e discutibile quella della Corte di Appello di Ancona: “La ragazza era troppo “mascolina”, poco attraente e poco credibile come vittima di stupro. Tre donne che, avallando le argomentazioni dei due imputati, li hanno assolti nel 2017, ribaltando le condanne di primo grado a cinque e tre anni di carcere per le accuse di aver drogato e violentato una ventiduenne di origine peruviana come loro.
“La ragazza neanche mi piaceva”, sostenne il presunto autore dello stupro che l’aveva registrata sulla rubrica del suo cellulare con il nome di “Vikingo”; affermò anche, così come confermato dal ragazzo che fece da “palo”, che i rapporti sessuali consumati in quel parco, dopo una serata al pub, fossero consenzienti. Il verdetto è stato sensatamente annullato dalla Cassazione e il processo d’appello bis avrà presto luogo a Perugia. Intanto lo sdegno e l’indignazione fanno il giro del web e non solo: la rete femminista Rebel Network, il Comitato Marche Pride e molte altre associazioni e sindacati che isieme, saranno protagonisti di un flash mob di protesta domani mattina davanti alla Corte d’appello di Ancona. Per il procuratore generale di Ancona Sergio Sottani, che ha impugnato quella decisione, bisogna “Evitare che nei processi l’uso delle parole possa costituire una forma ulteriore di violenza nei confronti della vittime”. “Ritenere – ha aggiunto – che la mancata attrazione sessuale del presunto stupratore per la vittima possa rappresentare un elemento a sostegno della mancanza di responsabilità, credo debba essere evitato perché si rischia di appesantire lo stress cui la vittima è già sottoposta”. La deputata di Fi Vincenza Labriola parla di motivazione “aberrante”: “dalla tempesta emotiva, all’aspetto fisico, al fatto che le donne indossino i jeans, la gonna corta, mettano il rossetto: queste attenuanti rischiano di giustificare una violenza che è semplicemente una vergogna”. Cinzia Molinaro, legale della vittima, si prepara al nuovo processo d’appello e ricorda lo sgomento che suscitò la lettura della sentenza: assoluzione e giudizi sull’aspetto “mascolino” della vittima, non abbastanza attraente per cui non stuprabile. La giovane era stata definita “scaltra peruviana” per aver inscenato lo stupro al fine di giustificarsi con la madre dopo aver bevuto troppo in compagnia dei due imputati. “Quando tornò a casa – spiega l’avvocato Molinaro – non era in grado di ricordare quasi nulla. Aveva gravi ferite di cui non si era neanche accorta, è stata operata: disse di non essere in grado di dire se avesse iniziato un rapporto consenziente ma che a un certo punto era stata molto male, aveva detto basta senza che il ragazzo si fermasse”. In ospedale riscontrarono in lei un forte quantitativo di benzodiazepine, “droga da stupro”, che non ricordava di aver assunto: secondo l’accusa furono gli imputati a drogare la sua birra. Aldilà dell’aspetto prettamente giuridico, ci sarebbe da capire come può l’aspetto fisico influire e addirittura essere determinante per stabilire una condanna o una assoluzione. Se poi di pensa che ad usare questo parametro sono state tre donne, forse, dobbiamo concretamente accettare di essere molto lontani dalla parità che si chiede e manifesta in ogni luogo possibile.
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