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La Dda non crede al ‘basso profilo’ del boss Marco Di Lauro

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La Dda non crede alla versione di ‘smarrito’ e quasi persona normale di Marco Di Lauro. Per i magistrati dell’antimafia la sua ‘strategia di basso profilo’ è la stessa che ha tenuto in questi anni per evitare di essere catturato. E quindi anche ora che è in carcere (dovrà starci di certo una decina di anni circa contando su eventuale buona condotta e sconti) vuole mantenere il suo profilo per evitare pesanti condanne. I racconti dei pentiti nel corso di questi anni di ricerche e di indagini lo hanno indicato della persone al vertice del clan di quelli di ‘miez all’arco’. Decine di pagine di verbali con il suo nome , i suoi movimenti, le sue decisioni. E’ stato latitante per 14 anni ed è stato rintracciato e arrestato in una casa modesta nel quartiere di Chiaiano. Il clamore mediatico per quella casa non sfarzosa, non vigilata lo ha indotto a continuare nella recita tanto che ha detto ai suoi, legali Gennaro e Carlo Pecoraro, di non essersi mai allontanato troppo da quel quartiere, anche se la Dda non é convinta. Basterebbe leggere i commenti sui social dei vari siti di informazione e dei quotidiani che in questi giorni stanno trattando della sua cattura per capire il carisma da capo che ha avuto e che continua avere tra gli affiliati di Secondigliano e non solo. Gli investigatori che per anni sono stati sulle sue tracce avevano indizi e informazioni convergenti su viaggi all’estero del boss, tanto che anche l’Interpol aveva diramato le note per la sua cattura. E così mentre gli investigatori continuano a spulciare nel suo telefonino e in quello della sua compagna Cira Marino e a cercare tutte le tracce utili a scoprire fiancheggiatori e finanziatori della sua latitanza, l’ex boss fantasma è nel reparto alta sorveglianza in carcere. Anche nel suo secondo interrogatorio di oggi ancora una volta è rimasto senza dire una parola e ancora una volta con gli occhi sgranati come se le accuse contestate non lo riguardassero. Marco Di Lauro questa mattina era davanti al gip Marco Carbone, del tribunale di Napoli, per l’interrogatorio di garanzia per la misura cautelare che lo vede indagato come capo e promotore del clan che porta il suo cognome, che era diretto dal padre Paolo detto Ciruzzo ‘o milionario, e che aveva, secondo la procura, come primo scopo l’importazione di chili e chili di cocaina dal Sudamerica. Il quarto figlio del boss, per i pm, ha diretto la cosca tra il 2007 e il 2008 e ha gestito gli imponenti traffici di sostanze stupefacenti che arrivavano a Scampia e Secondigliano, quartieri della periferia Nord di Napoli in cui dal 2002 si è consumata una faida all’interno del gruppo Di Lauro, con il distacco degli Amato-Pagano, per il controllo proprio dell’approvvigionamento e della gestione delle piazze di spaccio.


Articolo pubblicato il giorno 6 Marzo 2019 - 22:17

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