“Ci hanno spremuto come i limoni, stiamo scendendo a lavorare solo per pagare gli operai”. L’ultima richiesta estorsiva i titolari della famosa pizzeria Di Matteo del centro storico di Napoli, l’hanno avuta il 4 marzo direttamente da Vincenzo Sibillo, il padre dei baby boss Emanuele e Pasquale, che pretendeva 1.500 euro di ‘pizzo’ come anticipo di quanto ogni settimana i proprietari della pizzeria pagavano alla cosca. “Da quanto?”, chiedono i carabinieri che interrogano il titolare. “Da sempre”, e’ la risposta. In carcere sono finiti i quattro esattori tra i quali il boss che ogni sette giorni ritiravano 100 euro e poi riscuotevano le rate a Pasqua, Natale e Ferragosto. Ad aprile e ad agosto 2.500 euro, mentre a Natale 5 mila euro. Ecco lo scenario nel quale sono poi maturati gli scontri tra il gruppo Sibillo e gli alleati dei Mazzarella che a loro volta vogliono il ‘pizzo’ dagli esercenti gia’ taglieggiati dai Sibillo. Nel decreto di fermo che ha portato all’arresto degli estorsori, a firma dei pm della Dda di Napoli, Urbano Mozzillo e Celeste Carrano, ci sono anche le dichiarazioni dei titolari, che tutti, appena sentiti, raccontano di non pagare, e poi confessano con non poche difficoltà: “Abbiamo timore per la nostra incolumita'”.
“Azioni di guerriglia urbana”, “guerra”, “attacchi e omicidi continui”. Usa queste parole il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Giovanna Cervo per descrivere il clima che si é vissuto nei vicoli di Napoli nel 2015 tra il gruppo Sibillo e i Buonerba. Dopo la morte di Emanuele Sibillo, avvenuta il 31 luglio 2015, il clan era passato nelle mani di Ciro Contini, il 25enne che portava un cognome importante, nipote del boss Eduardo detto ‘o romano’ e sposato con la figlia di Nicola Rullo detto ‘nfamone’. E’ lui il perno dell’inchiesta, un pregiudicato descritto dai pentito come “un killer che spara per sfizio”. E “per sfizio”, dal racconto degli oltre dieci collaboratori di giustizia, molti dei quali dell’ultima ora (Bruno Esposito, Domenico Esposito, Claudio Scuotto, Carmine Esposito, Nunzio Montesano, Pasquale Orefice, Carmine Campanile e Gennaro Buonocore), che Ciro Contini uccide Luigi Galletta, il meccanico di via Carbonara, prima picchiato e poi ammazzato siq perche’ cugino di Luigi Criscuolo, affiliato ai Buonerba, sia per vendetta rispetto una sparatoria che aveva colpito il nipote di un affiliato ai Sibillo. Le intercettazioni successive a quell’agguato mettono in evidenza la drammatica e spietata voglia di vendicarsi, oltre ogni limite. E’ Salvatore Mazio, uno degli arrestati, a urlare al telefono: “Prendiamo a quello, schiattiamogli la testa, spariamolo nelle gambe e gli diciamo di dire al ‘nannone che se viene dentro Oronzio Costa lo atterro. Io mi metto il casco in testa e lo faccio. Non me ne fotte, non tengo niente a che vedere. Vengono qui e li abboffiamo di botte in petto, per tutte le parti”. E ancora Gennaro Buonerba, boss dei ribelli: “Buttiamo una bomba nel palazzo, perche’ questo adesso non scende piu’ per dieci giorni”. Era rivolta ad Antonio Napoletano o’ nannone la minaccia. L’esplosione dell’ordigno fu particolarmente potente, danneggiò due negozi e non provocò vittime unicamente perché quel giorno c’era una partita del Napoli e le strade erano deserte.
Tra gli 13 indagati figurano Nicolas Brunetti, Salvatore Celentano, Ciro Contini, Bruno Esposito, Giuseppe Gambarella, Diego Spagnuolo, Antonio Napoletano, Francesco Pio Corallo, Luca Capuano, (per il gruppo Amirante-Brunetti-Giuliano-Sibillo, ex Paranza dei Bimbi) invece per il gruppo dei rivali Buonerba meglio noti come i “Capelloni” l’ordinanza ha colpito Gennaro Buonerba, Salvatore Mazio, Massimo Amoroso e Vincenzo Rubino..
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