Innovazione e tradizione. Tecnologia e panaro. Con lo smartphone si ordina attraverso la app Uber Eats un pasto caldo o una pizza fumante e col panaro i ritira, ovviamente a Napoli. Il panaro è un cesto di vimini o di paglia intrecciata per le consegne al piano, un tradizionale strumento logistico solitamente che solitamente si cala da una finestra dei piani alti di un quartiere popolare per ricevere la consegna. Questa “contaminazione” spiega, forse meglio di tante ricerche, il successo dell’app di food delivery in una città dove a ogni angolo di strada c’è una pizzeria, uno street food, un ristorante. “Può suonare strano – commenta Gabriele De Giorgi, public policy manager di Uber Eats Italia – ma solo a Milano riscontriamo un dinamismo pari a quello di Napoli. Una città in continua cresciuta che da giugno a oggi ha quadruplicato le adesione di ristoranti: da 50 di giugno scorso a 261 di oggi.”
283 sono i corrieri che sfrecciano ogni giorno su motorini e biciclette, dotati di un contenitore per le consegne, di uno smartphone e di una copertura assicurativa più conveniente di altre piattaforme. Il cliente tipo di Uber Eats, nel capoluogo, campano non supera i 50 anni, spesso è un professionista che ordina quasi sempre di sera, meglio se di domenica e per cibi di fast food. Ma tra i clienti della app figurano anche molti studenti, i più complicati da raggiungere al piano, perché non hanno nomi su citofono, non sono censiti e vengono richiamati attraverso l’app; i genitori che lasciano i figli da soli a casa e organizzano loro la cena, i single che non hanno voglia o tempo di cucinare o anche gli amici che si riuniscono per vedere una partita di calcio.
Le consegne non superano i tempi medi di 26 minuti e la più rapida è avvenuta in 5 minuti soltanto. Si ordina di tutto, in quel raggio di tre chilometri di azione che un rider può coprire e, dalle ordinazioni, si evince anche una diversa preferenza di cibo a seconda del quartiere. Per esempio, il centro storico ama lo street food messicano; il quartiere Vomero predilige il sushi, i clienti di Mergellina ordinano soprattutto hamburger, a Fuorigrotta spopola la pizza mentre a Chiaia i clienti ordinano gelati. “L’app per i ristoratori può diventare anche uno strumento utilissimo per testare piatti che non inserirebbero nel menù tradizionale, ma che in consegna possono attirare di più. E’ uno strumento utile anche per comprendere in che giorni un prodotto tira di più e dunque orientare così anche la linea di ristorazione”, spiega De Giorgi. Tra i ristoratori napoletani che hanno aderito per primi a Uber Eats anche marchi storici, come la pizzeria Starita di Materdei. Don Antonio Starita, che ha locali a New York, Londra, Milano, a breve a Firenze, ma non ha mai voluto aprire altri locali in città. Ha ceduto però al food delivery: “E’ il mondo che va in questa direzione – spiega – non sono io che ho scoperto la novità”. Tra la app e i clienti ci sono di mezzo i fattorini che fungono da anello di congiunzione fondamentale tra il ristoratore e il consumatore. Infatti, oltre le recensioni per i ristoranti e per i piatti, ci sono anche quelle per i riders: “La sfida dei prossimi anni – sottolinea Gabriele De Giorgi – sarà proprio sui fattorini: sono la nostra “faccia” con i clienti”.
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