Precisiamo subito nell’incipit di questo articolo che il titolo non reca errori.La “Tapparenza” è un neologismo che abbiamo coniato al posto di “Trasparenza”, quando essa non appare piena e completa. Quindi tappata. Semplicemente questo. E ora illustriamo il perché.Eravamo stati buoni profeti quando, durante lo scorso anno 2018, ponemmo il problema della difficile leggibilità del Portale della Trasparenza del parco Archeologico e, quindi, del GPP, ovvero Grande Progetto Pompei.Esso diventava carente sotto il profilo della informazione dell’avanzamento effettivo dei lavori nei cantieri del Grande Progetto in corso nel Parco Archeologico di Pompei.Il fatto poi era endemicamente ricorrente per i cantieri dei Lavori in corso con i fondi ordinari della ex Soprintendenza, ora Parco Archeologico di Pompei. Fluivano abbondanti invece gli annunci sotto forma di notizie stampa cartacea e on line.La cosa però non ci premeva più di tanto, essendo in corso gran parte dei lavori. Dal Grande Progetto Pompei ci aspettavamo fidenti qualcosa in più. Anzi eravamo certi. La piena Trasparenza sarebbe stata garantita sul versante della Informazione, in un’ottica europea. Le comunicazioni sulle gare e sui contratti però erano puntuali, anche se sapevano un po’ di bollettino della vittoria di un esercito in avanzata, diciamolo con franchezza. Ne prendevamo atto con piacere, ma avevamo abbastanza esperienza di lavori pubblici per sapere che la vittoria si celebra a guerra finita. Cioè a collaudo avvenuto e archiviato. L’avanzamento delle attività di contrattualizzazione dei lavori e la proliferazione dei cantieri, pur essendo segnali estremamente positivi, non esaurivano in sé le problematiche della qualità dei progetti e dei lavori di restauro in corso. Nè quella della conclusione effettiva dei lavori e dei collaudi relativi nei tempi contrattualmente previsti. In particolare, nel Portale della Trasparenza lasciavano perplessi le ripetute diciture relative ai cantieri “chiusi”, perché la decodifica di tale definizione non era esaustiva della comunicazione attesa. Trasparente e non tapparente.
Potevano essere numerose infatti le ragioni della “chiusura” dei cantieri: la avvenuta ultimazione dei lavori era il più auspicato e auspicabile dei casi.
Ma altre ragioni potevano essere intervenute in corso d’opera, come ad esempio chiusura per Sospensione, temporanea o definitiva, per Causa di forza maggiore.
Elemento oggettivo di preoccupazione – ai nostri occhi e a quelli di coloro che fossero già esperti di cantieri pubblici oppure in qualche modo e misura “addetti ai lavori”- erano i ribassi straordinariamente elevati che consentivano la aggiudicazione delle gare.In molti casi i ribassi infatti superavano il cinquanta per cento e in qualche altro addirittura il sessanta. Anche la Stampa locale e in qualche caso quella nazionale riportarono le notizie di tali anomalie.Facile e immediata era la osservazione della gente comune e quasi sempre la stessa: o era sbagliato il progetto o era sbagliato il ribasso. Però c’erano anche quelli che attribuivano la tendenza all’esasperato ribasso addirittura alla presenza, all’interno del GPP, del nucleo dei Carabinieri impegnati per debellare sul nascere ogni infiltrazione camorristica. Insomma in altre parole, più dirette, c’era chi argomentava che le imprese appaltatrici – sentendosi al sicuro da sgarri e gabelle “improprie” – si accollavano volentieri gli oneri di ribassi oltremisura.Altri, più pessimisti, attribuivano la tendenza ai ribassi ad oltranza delle Appaltatrici alla oggettiva scarsa conoscenza dei luoghi dei lavori, spesso non sostenuti da rilievi recenti. Essi, predicando la insostenibilità di tali ribassi durante il corso dei lavori, storcevano il muso e fiutavano a breve termine aria di Varianti e di Riserve in corso d’opera da parte delle Imprese. Alla fine, hanno avuto ragione i pessimisti.
Fortunatamente i cantieri “chiusi” – ma di fatto ancora “aperti” – non sono molti.Abbiamo quindi casi di non finito e altri casi di non terminato. Chiediamo scusa del facile gioco di parole e non vogliamo evocare qui Michelangelo, di cui si distingue il “non finito” dal “non terminato”.Il nostro caso è forse più semplice: se non è zuppa, è pan bagnato. Intanto, diciamo che tal tipo di problematiche interessano interventi significativi. Siamo infatti in presenza di striscianti contenziosi derivanti da Riserve reclamate o da altri ammennicoli imperfetti o imprevisti riguardanti le previsioni progettuali carenti, le reti elettriche, nonché quelle dell’acqua e dei reflui. Si tratta di cantieri del calibro della Casa di Sirico e della Casa dei Dioscuri. E della Recinzione monumentale, improvvidamente estesa verso la Villa di Diomede, in una zona che conservava ancora un intenso sapore di agreste ruralità “ante Scavi”. E del gruppo fanno parte i cantieri degli Edifici demaniali di viale San Paolino e quello degli edifici di Porta Stabia, in odore di abusivismo, ma improvvidi in sé, senza scampo. Rumors provenienti dalle antiche mura sussurrano che si tratta di un malloppo di Riserve in corso d’opera intorno quattro milioni di euro.
Il cofinanziamento europeo, univoco e unitario, sta dunque andando in sofferenza.Il nome di Pompei vale una deroga ai modelli europei di finanziamento e rendicontazione? Noi pensiamo e auspichiamo di sì. Ora le somme dei ribassi smodati potrebbero tornale utili. E’ un tesoretto disponibile. Ma la nostra è solo una ipotesi di lavoro, che dovrebbe attirare la attenzione di chi può. Cosa ne pensa però il ministro Bonisoli? E i duumviri Salvini e Di Maio? E l’Europa brutta e cattiva che farà?E, infine, per la “Buffer zone” desaparecida, invece, cosa si fa? Gli interrogativi sono molti. Le risposte arriveranno a breve. Stavolta però noi le temiamo.Ma confidiamo nel potere evocativo del GPP. Anzi nel nome di Pompei. Gli uomini vanno e vengono. Pompei vive al di là delle contingenze. Perché è. Ut sic.
Federico L. I. Federico
Articolo pubblicato il giorno 28 Febbraio 2019 - 13:00