Scafati. Una spiata ai carabinieri sui traffici di droga di Carminuccio Alfano e sui legami con Michele Matrone: questo uno dei motivi per i quali fu ucciso Armando Faucitano. Una tesi emersa nel corso delle indagini quando un pregiudicato, poi diventato agente-provocatore e collaboratore di giustizia, fece le prime ammissioni agli inquirenti. Domani, nel corso dell’udienza dinanzi ai giudici del Riesame di Salerno che dovranno decidere la scarcerazione di Carmine Alfano, Marcello Adini e Pasquale Rizzo, il collegio difensivo dovrà valutare necessariamente anche questo movente, oltre a quello legato ad un debito per l’acquisto di sostanza stupefacente.
A parlare per primo della circostanza è stato Alberto Panico, pregiudicato di Boscoreale, che diede ospitalità a Pasquale Rizzo dopo l’omicidio di Faucitano. Panico è diventato, nel 2016 un collaboratore di giustizia, ammesso al programma di protezione proprio per la vicenda dell’omicidio avvenuto a Scafati. Panico ha inoltre raccontato di essere un corriere della droga e di aver fatto affari con i clan torresi e stabiesi. Fu lui nel gennaio del 2016 che – a supporto di quanto già riferito ai carabinieri – fu utilizzato come ‘agente provocatore’, munito di una microspia intercettò i suoi amici Giovanni Barbato Crocetta e Gaetano Esposito, arrestati e poi scarcerati per aver riciclato lo scooter utilizzato per l’omicidio Faucitano e ritrovato nel Rio Sguazzatorio a Scafati poco dopo l’agguato di piazzetta Genova del 26 aprile 2015. Panico aveva ospitato per pochi mesi Pasquale Rizzo – poi arrestato per concorso in omicidio – dopo il delitto e prima che venisse arrestato in Germania con Vincenzo Alfano, fratello di Carmine, per aver trasportato della droga. Panico rivelò agli inquirenti che Pasquale Rizzo gli aveva confidato alcuni particolari: “Con Pasquale era nata una sorta di amicizia – rivela Panico ai carabinieri – e mi disse che circa un mese prima del suo omicidio, una notte, origliando a sua insaputa, aveva sentito Faucitano dare delle confidenze ai carabinieri di Scafati, nella sua cucina nel corso di un controllo mentre stava agli arresti domiciliari. Nella circostanza Faucitano riferiva ai carabinieri di numerose attività illecite che avvenivano a Scafati nominando coloro che le commettevano. In particolare riferiva di un certo Carminuccio ‘detto bim bum bam’ ritenendoloil gestore dello spaccio di marijuana e cocaina a Scafati insieme al figlio del boss Franchino Matrone”. Sul coinvolgimento di Carmine Alfano, Panico cercò altre conferme, intercettando i suoi amici finiti in prigione per la moto utilizzata per il delitto: “Quello è uno scemo, ha fatto un macello ha ucciso ad un bravo ragazzo” si sente in una delle conversazioni che Alberto Panico registrò con Esposito e Barbato Crocetta e secondo gli inquirenti il riferimento era ad Alfano e Adini. “Rizzo mi riferì – ricorda Alberto Panico agli inquirenti – che dopo due giorni dalla notizia data a Carmine Alfano (si riferisce alla spiata ai carabinieri, ndr) Armando Faucitano è stato ucciso. Rizzo mi disse che si era messo d’accordo la sera prima con Alfano di portare Faucitano il giorno successivo in una piazzetta con la scusa di consumare uno spinello insieme. Faucitano sarebbe stato ucciso da Carmine Alfano e da un certo Marcello di cui non conosco il cognome. Tutto era stato studiato nei particolari in modo da non rendere Rizzo testimone oculare, perchè aveva paura”. La versione di Panico, secondo gli inquirenti collima in gran parte con quanto emerso durante le indagini. Dopo le dichiarazioni, il testimone cercherà in tutti i modi di far emergere i nomi dei due killer nelle conversazioni registrate con Esposito e Barbato Crocetta che in realtà alludono ad Alfano, ma non ne fanno mai il nome.
Ma c’è un altro neo collaboratore di giustizia che accusa pesantemente Carmine Alfano: è Massimo Fattoruso, fratello di Francesco, ucciso – secondo gli inquirenti – da esponenti del clan Aquino-Annunziata. Fattoruso ha raccontato all’inizio dello scorso anno di conoscere la pistola con la quale Armando Faucitano è stato ucciso e di averla gettata nel fiume Sarno, indicando anche il luogo preciso. La pistola non è stata in effetti mai trovata ma Fattoruso racconta: “In merito all’omicidio posso dire di sapere chi è stato e dove si trova l’arma utilizzata. La pistola utilizzata è una calibro 38 e si trova nel fiume Sarno, nei pressi della Frazione di San Pietro. E’ una calibro 38 di colore argento con il manico di colore avorio prima, con un disegno sopra. Non è stata gettata subito dopo l’omicidio, sono stato proprio io a buttarla avvolta in un panno bianco”. Secondo Fattoruso, quella pistola apparteneva a suo fratello, ucciso nel 2014. Dopo l’omicidio la vedova di Francesco Fattoruso l’avrebbe consegnata a Carmine Alfano insieme ad un borsone contenente della droga. E dopo l’omicidio Faucitano, Alfano l’avrebbe restituita alla signora per evitare che fosse ritrovata. “mi sono reso conto, quando poi sono uscito e mia cognata mi ha spiegato la cosa, che quella era proprio la pistola usata per l’omicidio a Piazzetta Genova”. Fattoruso spiega che Alfano era il compariello del fratello Francesco e di aver saputo che proprio ‘bimu bum bam’ se l’era ‘venduto’ ai suoi assassini.
Su questi elementi e sugli altri raccolti nel corso delle indagini, il collegio difensivo dovrà domani fondare la difesa dei tre arrestati su disposizione del Gip Zambrano e su richiesta della Dda di Salerno. Carmine Alfano, Marcello Adini sono accusati, il primo di essere il mandante ed esecutore, il secondo solo esecutore e Pasquale Rizzo deve rispondere dell’accusa di concorso in omicidio.
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