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I Vastarella volevano uccidere Sequino all’uscita del carcere e il boss chiamò un ‘amico’ poliziotto per farsi proteggere. LE INTERCETTAZIONI

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Napoli. C’è stato un momento nella violenta guerra di camorra tra il clan Vastarella da una parte e i Sequino dall’altra per il controllo degli affari illeciti nel rione Sanità ma anche nelle altre zone del centro storico di napoli confinante in cui si è rischiato davvero grosso. Il clan Vastarella, non pago del ‘tradimento’ dell’agosto 2016 in cui furono uccisi il boss emergente del Cavone, Salvatore Esposito detto sandokan e Ciro marfè e ferito gravemente Pasquale Amodio (tutti legati ai Sequino) aveva deciso di compiere un plateale attentato nei confronti del boss Salvatore Sequino. Nell’ottobre del 2016 infatti si era sparsa la voce che il capo del clan che era detenuto a Vibo Valentia sarebbe stato scarcerato di li a poco in conseguenza di una sentenza favorevole al processo contro il clan Buonerba che si stava concludendo. La cosa non si è avverata perché Salvatore Sequino è stato condannato a 15 anni e sette mesi di reclusione. Ma la sera del 13 ottobre del 2016 a Lagonegro era stato arrestato dalla polizia Fabio Vastarella, figlio di Raffaele capa auciello e nipote di Patrizio Vastarella. Il giovane , che la sera prima a Napoli aveva rapinato l’auto di un magistrato della Dda (non sapendo chi fosse) era ricercato e sulle sue tracce vi erano numerosi esponenti delle forze dell’ordine per il gesto eclatante che aveva commesso. Fabio Vastarella dopo la rapina si era messo in viaggio alla volta della Calabria ed era accompagnato da una seconda auto, una fiat Panda con all’interno Raffaele Topo e Alessandro Pisanelli, entrambi del clan Vastarella. Nell’auto rubato Fabio Vastarella aveva dei guanti in lattice e una ricetrasmittente. L’arma per compiere l’agguato gli sarebbe stata portata a destinazione. Il boss Salvatore Sequino venuto a conoscenza del tentativo di agguato nei suoi confronti organizza il suo ritorno a Napoli (sperando sempre in una sentenza favorevole e  quindi nella scarcerazione) chiedendo alla moglie di far arrivare un loro ‘amico’ ovvero un sovrintendente di polizia (originario della Sanità) ma in servizio al Nord e che insieme con il figlio di quest’ultimo e suo cognato Silvestro Pellecchia avrebbero dovuto scortarlo fino a casa. Il boss organizza tutto durante i colloqui in carcere con la moglie Sonia Esposito non sapendo di essere intercettato. Tutta la vicenda è raccontata nelle 516 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Emilia Di Palma e che due settimane fa ha portato in carcere una trentina di esponenti dei due clan in lotta.

Racconta Sonia Esposito: “…Hanno arrestato a Fabio Vastarellaqua a Lagonegro … Il 13 Ottobre! La giornata del 14! … Una macchina rubata, i guanti in lattice, una ricetrasmittente, comunque l’hanno rubata a Salvator Rosa questa macchina…”. Sequino incalzava la moglie chiedendole di specificare quale fosse la data dell’arresto ma soprattutto si chiedeva come i Vastarella avessero saputo che il 14 era programmata la sentenza che lo riguardava, arrivando ad ipotizzare che per tali motivi la sentenza era stata rinviata “…Che ne sapevano che e il 14 ci stava …..? Ma quando lo hanno arrestato Sonia? Il 13? … Perciò non è uscita la sentenza!…”. A quel punto Sonia Esposito, riferendosi ai Vastarella, affermava che questi ultimi erano convinti della sua scarcerazione  invitava il marito, a titolo precauzionale, ad utilizzare un autobus per tornare a casa nel caso in cui fosse stato scarcerato “…quelli erano convinti che tu uscivi! … Sai che devi fare? Ti devi mettere dentro un pullman!…”. Il boss invece, dettava un’altra strategia per sfuggire ad un eventuale agguato nei suoi confronti ed infatti chiedeva alla moglie di rivolgersi a Silvio, ossia il cognato Silvestro Pellecchia, affinché questi verificasse un percorso alternativo, attraverso le montagne “…No! Chiama Silvio! Digli : Silvio vieni a trovare. Uscendo da Vibo Valentia ci sta una strada che non deve fare la strada per Lagonegro cose sopra alle montagne? Se è positivo questo fatto, se è positivo non venite nessuno … (incomprensibile, ndr) e mi faccio le zone delle montagne. Non venite proprio capito? A parte che se dovesse succed…”. Sonia Esposito in maniera preoccupata chiedeva al marito se potessero tendergli un agguato fuori al carcere “…E se vengono qua fuori?…”, ma questi scartava una tale ipotesi ed aggiungeva che a suo parere gli sarebbe stato teso l’agguato a Tortora “…Eh! Qua fuori! E come se ne vanno poi? Lo fanno qua fuori! Come se ne vanno da qua fuori! Io sono convinto a Tortora! A Tortora!…”.
Il boss aveva dunque anche la disponibilità di un abitazione a Tortora, ove aveva domiciliato durante il periodo in cui era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Per dare più forza all’ipotesi che l’agguato ai suoi danni poteva essere perpetrato nella zona di Tortora, Salvatore Sequino faceva notare alla moglie il fatto che per raggiungere Tortora da Napoli i Vastarella sarebbero dovuti transitare da Lagonegro, come poi effettivamente accadeva in occasione dell’arresto di Fabio Vastarella “…A Tortora a Tortora, sicuro! Prima si fermano là e poi da la partono! La strada che devono fare è Lagonegro…”.
A quel punto Salvatore Sequino chiede alla moglie di rivolgersi al nipote Giovanni affinché questi contattasse un suo conoscente che si occupava di sicurezza, affinché organizzasse una scorta da Vibo Valentia a Napoli, nel caso di una sua scarcerazione.
E così gli affiliati il 28 ottobre del 2016 organizzarono un servizio di scorta per prelevare il boss, nell’ipotesi in cui fosse scarcerato, cosa poi non verificatasi. La finalità di tale scorta, ovviamente, era quella di proteggere il capo clan da eventuali agguati ai suoi danni. Proprio il giorno 28 ottobre 2016, infatti, era prevista la sentenza nei confronti di Salvatore Sequino e gli affiliati speravano che lo stesso fosse assolto, ovvero condannato ad una pena lieve che ne consentisse la scarcerazione. cosa che poi non avvenne. In particolare, era stato predisposto un servizio di scorta, verosimilmente armato, cui partecipava sicuramente  Salvatore La Marca; nel servizio di scorta, inoltre, emergeva il coinvolgimento di  omissis e del padre omissis , quest’ultimo Assistente Capo della Polizia di Stato…omissis…
Per la Marca era importante la presenza del poliziotto insieme con loro perché alla luce del suo status poteva stare armato senza in correre in problemi con le forze dell’ordine in caso di controlli. L’unica preoccupazione dei Sequino era quella di proteggere il capo Clan da un eventuale agguato.

Rosaria Federico

5.continua

(nella foto il carcere di Vibo Valentia, il boss Salvatore Sequino e Fabio Vastarella)


Articolo pubblicato il giorno 26 Febbraio 2019 - 17:27
Redazione

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