Si era difesa davanti alla Cassazione sostenendo di avere, nel lavoro che svolgeva da oltre 30 anni, un’impostazione “vecchio stampo”, legata a un'”idea di pedagogia meno sensibile alle piu’ recenti e moderne teorie di insegnamento”. Una giustificazione, che, pero’, non le ha affatto evitato una condanna per maltrattamenti sui bambini dell’asilo in cui prestava servizio. La sesta sezione penale della Suprema Corte ha reso cosi’ definitiva la condanna a 2 anni e 8 mesi inflitta a una maestra 60enne di Avellino, ‘incastrata’, oltre che da alcune testimonianze, dalle riprese audiovideo effettuate all’interno della scuola materna in cui lavorava. Tra i fatti al centro del processo, il ricorso alla “sedia del pensiero”, secondo l’imputata mutuato dal metodo Montessori, su cui il bambino veniva invitato a sedersi per riflettere sulla “marachella” commessa, o quello alla “stanza del telefono”, poco illuminata e utilizzata per i bimbi piu’ irrequieti, oltre a “scappellotti” “tirate di orecchio e di capelli”, e “umiliazioni”, quali disegni strappati, acqua negata e parole poco consone, come ingiurie o minacce, con le quali si era creato un “clima di tensione”. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della maestra (la quale aveva anche evidenziato, a sua discolpa, che i bambini non avevano “mai pianto” negli “sporadici” episodi in cui erano stati raggiunti da “piccoli scappellotti”): “integra il reato di maltrattamenti – hanno ribadito i giudici del ‘Palazzaccio’ – e non quello di abuso dei mezzi di correzione la reiterazione di atti di violenza fisica e morale, anche qualora gli stessi possano ritenersi compatibili con l’intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l’agente e’ portatore. Neppure l’intenzione soggettiva e’ idonea a far entrare nell’ambito della fattispecie meno grave di abuso dei mezzi di correzione – conclude la sentenza depositata oggi – una condotta oggettiva di maltrattamenti, atteso che l’uso sistematico della violenza, ancorche’ sostenuta da ‘animus corrigendi’, esclude la configurabilita’ del reato meno grave”, previsto dall’articolo 571 del codice penale, che punisce l’abuso dei mezzi di correzione.
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